Oggi come allora, forse di più. La maggior parte dei media o appartengono direttamente alla politica o da essa sono controllati, con qualche rara eccezione come il Fatto Quotidiano. Nel libro Assedio alla Toga il pm antimafia di Palermo Nino Di Matteo ha posto una domanda a proposito del ruolo dell’informazione: “In Italia quante persone sanno che in una sentenza divenuta definitiva è sancito che il senatore a vita Giulio Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali intrattenevano rapporti con alcuni boss mafiosi e coltivato con essi relazioni, li ha incontrati, ha loro chiesto favori”. La mafia ha sempre avuto l’obiettivo che si parlasse di essa il meno possibile. È nel silenzio, nell’ignoranza che Cosa Nostra fa affari.
Purtroppo i media, il più delle volte, sono assenti o distratti. Solo quando c’è il grande evento, la cattura di Provenzano o la sentenza Cuffaro o Dell’Utri, si fanno vivi e sempre più spesso l’attenzione dei lettori viene indirizzata verso aspetti folkloristici del personaggio più che sull’analisi di ciò che accade, mentre il processo durante il suo dibattimento non viene seguito. Quanto hanno dato fastidio alle mafie le inchieste di Pippo Fava, Peppino Impastato, Mario Rostagno, Cosimo Cristina, Mario Francese, Giuseppe Alfano, Giovanni Spampinato, Mauro De Mauro, Giancarlo Siani e di altri ancora. Oggi di quel giornalismo si sente la mancanza.