Senza smalto e senza novità, nel disperato tentativo di tenere insieme il partito che non c’è più: è apparso così ieri Silvio Berlusconi, davanti alle telecamere che attendevano l’annuncio del nuovo predellino e si sono invece dovute accontentare della cortina di fumo delle riforme. Per di più, dopo una serata assai movimentata a Palazzo Grazioli, dove si era riunito lo stato maggiore del partito per limare l’appello ai democratici sulle riforme istituzionali, vincolate al semipresidenzialismo alla francese con l’elezione diretta del presidente della Repubblica a doppio turno. Quasi un depistaggio, visto che il “no, grazie” del segretario democratico Pier Luigi Bersani era più che scontato: sia per lo schema alla francese, già escluso in precedenza dal centrosinistra, sia perché l’ok del centrodestra al doppio turno, appunto, non vale la candidatura di Berlusconi al Colle. Dove, peraltro, in casa democratica si vorrebbe insediare Romano Prodi.
In realtà, il “no” di Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo alla proposta di una casa dei moderati, il colpo a effetto del nuovo soggetto politico è stato necessariamente messo da parte. Tranne per quel che attiene al cosiddetto “direttorio” che dovrebbe affiancare Alfano, e di cui già si era parlato in tempi non sospetti per ricostruire una struttura di partito più classica, casomai svecchiando un po’ i vertici. Ma quando, ieri sera, la notizia è filtrata attraverso le agenzie di stampa, i telefoni di Palazzo Grazioli hanno cominciato minacciosamente a squillare, rappresentazione sonora dello scarso controllo sulle truppe che, impegnate in una guerra fratricida tra ex forzisti ed ex An, minacciano un giorno sì e l’altro pure di provocare un incidente in aula e far venir meno il supporto del Pdl al governo di Mario Monti. A protestare, stavolta, sono stati i 40-50enni (tanti) e le donne (altrettante, a cominciare da Daniela Santanché che ha preteso e ottenuto una nota di smentita) il cui nome non compariva nell’elenco lasciato arrivare alla stampa: già era nota la presenza di Maurizio Lupi, ufficiale di collegamento con il mondo cattolico, Raffaele Fitto, in virtù dei suoi rapporti con il territorio e Franco Frattini, per la sua rete di relazioni internazionali, dall’Ump in poi. A fare scalpore, sarebbero stati i due nomi inseriti all’ultimo momento nella rosa del direttorio in rappresentanza di una quota rosa: Mariastella Gelmini e Giorgia Meloni, quest’ultima anche in vista di una sua possibile candidatura a sindaco di Roma e per garantire un’ulteriore rappresentanza agli ex An, sfilandola al contempo al ruolo di pasionaria che la vorrebbe alla guida di un possibile gruppo autonomo degli ex aennini.
Con l’effetto di alimentare la guerra civile che sta affossando il centrodestra, che vede da un lato Fabrizio Cicchitto e buona parte degli ex aennini che spingono all’unità per sostenere Alfano e salvare il salvabile, dall’altra gli ex Forza Italia che più onestamente prendono atto del fatto che questo connubio è fallito perché ha causato la perdità di identità su entrambi i fronti, e invita a una separazione consensuale. Una cornice cui si aggiungono le possibili liste civiche nazionali di Bertolaso o Santanché, e nel quale Alfano appare un peso morto. Così, oggi, Berlusconi ha provato a rilegittimarlo, passandogli le consegne in modo indolore. E tirandosi in qualche modo fuori dalla querelle perché, evidentemente, lui è disposto a tornare in campo soltanto per salire al Colle o in caso di un’improbabile riforma presidenziale. Insomma: ora tocca ad Alfano e gli altri prendersi la responsabilità del destino del centrodestra. Il partito, però, non sembra averlo capito. Alle amministrative ha bussato alla porta del Cavaliere per chiedere fondi e comparsate a sostegno dei candidati, e il Pdl sembra sempre più arroccato nell’oligarchia di via dell’Umiltà, tra coordinatori, capigruppo e pochi altri. Tutti convinti che, in un modo o nell’altro, alle prossime politiche basterà un 15% per salvare una sessantina di poltrone alla Camera e una trentina al Senato. Le loro. Lo stesso calcolo (sbagliato) fatto nel ’92 dai cerchi magici dei partiti della prima Repubblica, prima che si sgretolassero.