Quando si dice nomen omen. Pecoraro è un cognome le cui origini sono ricondotte a pecunia o a pecus (gregge). Ora, nel primo caso verrebbe da pensare ad una certa fascinazione per l’utilitarismo. Nel secondo alla tenuta delle pecore, del gregge, e dunque forse anche alla cura del luogo dove il gregge pascola. 

In ogni caso ci si chiede cosa faccia un pecoraro a Roma, al quale viene affidata una decisione così delicata in una materia di estrema importanza per la collettività. Senza averne perlomeno un’adeguata sensibilità. Il Prefetto non è un mero nuncius del Governo come si vuole far credere, privo di discrezionalità che deve peraltro essere guidata dalla ragionevolezza.

Prima di soffermarsi sull’inopportunità di chi ritiene che una discarica si debba e si possa fare ovunque, indifferente alla storia, alla cultura e al paesaggio, indifferente alla valutazione di adeguate alternative, indifferente all’interesse delle future generazioni, nazionali e sovranazionali, occorre però fare un passo indietro. 

Già nel lontano 1997 il legislatore interno decide – su impulso del legislatore comunitario – di regolamentare la complessa materia dei rifiuti, con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio” improntandola su di un principio fondamentale: la riduzione dei rifiuti, mediante il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti, occupandosi del rifiuto “dalla culla alla tomba”. L’intento è stato di far confluire in discarica e/o in inceneritori la quantità minima di rifiuti possibile, al fine di non compromettere la salubrità ambientale che tanto le prime (discariche) quanto i secondi (inceneritori, checché vogliano raccontarci con un mucchio di frottole) vanno a gravemente intaccare. Oltre che ad alimentare un business e spesso anche fenomeni di corruzione con grave danno (economico) della collettività. 

Tuttavia occorre evidenziare come questo circolo virtuoso sia stato spesso disatteso se non palesemente violato dalle Regioni e dai Comuni in questi 15 anni, tant’è che abbiamo esempi di Comuni straordinariamente efficienti che arrivano a recuperare quasi il 90% dei rifiuti e Comuni che differenziano il 2/3%. Tra questi Comuni inefficienti abbiamo sicuramente quello capitolino. 

Roma caput mundi regit orbis frena rotundi. Roma capitale del mondo regge le redini dell’orbe rotondo. Ma oramai eccelle nel degrado. Basta girare per le sue bellezze decadute per inorridire dinanzi all’incuria, al traffico aggressivo e non regolamentato, ai rifiuti sparsi ovunque, ai cassoni posti a trittico ma poco utilizzati, per comprendere quanto si debba fare. Continuare ad accumulare rifiuti, smaltendoli nella discarica più grande d’Europa sino alla sua saturazione senza essersi preoccupati in questi anni di predisporre (e soprattutto portare ad esecuzione) un rigoroso piano rifiuti è una scelta demenziale. 

Tutto ciò da un lato è quindi un esempio di mala amministrazione, di mala politica, di miopia, di irresponsabilità che vanno censurate e denunciate. 

Dall’altro si pone la grottesca sceneggiata alla quale stiamo nuovamente riassistendo in questi giorni. Il Prefetto sordo e col paraocchi che non vede alcuna alternativa: la discarica va fatta a Corcolle e poco importa che sia adiacente a Villa Adriana, patrimonio dell’Unesco, e che possa interessare una preziosissima falda acquifera. Non vedo, non sento, non parlo. 

Non v’è dubbio che il Prefetto sia chiamato a porre rimedio a (ir)responsabilità altrui. Ma ciò non giustifica la sua impermeabilità (rimanendo in tema di discarica) alla irragionevole pretesa della localizzazione della discarica. 

Tale atteggiamento è tuttavia sintomatico della vile, incolta, improvvisata, incompetente, frammentata gestione dei beni culturali e paesaggistici che interessa il Bel Paese, dotato delle maggiori ricchezze al mondo. Potremmo vivere tutti beatamente solo di gestione oculata ed intelligente di tale ricchezza ed invece siamo impegnati (da parte di pochi ma ben attrezzati a livello di competenza e incapacità, che spesso vanno di pari passo) a distruggerla. Rendendoci per di più ancor più ridicoli agli occhi degli altri cittadini del pianeta. 

Ritengo doveroso iniziare a pensare di progettare un unico Ente composto da persone di alta veste scientifica e provata esperienza (dunque non da tecnici bocconiani calati dall’alto) che sia esclusivamente competente nella materia dei beni culturali e paesaggistici. Diciamo basta alla frammentazione di competenze amministrative (regioni, comuni, ministeri, soprintendenza, prefetti) che arrecano solo danni alla collettività. E diciamo basta agli incompetenti in ruoli apicali (e non) nella Pubblica Amministrazione. Soprattutto diciamo basta alla scempio culturale.   

Aggiornamento delle ore 12:22 Apprendiamo, subito dopo le riflessioni poc’anzi espresse, che il Prefetto si è dimesso. Inutile nasconderlo, con estremo piacere.

L’occasione deve essere sovrana per avviare una riflessione su “chi decide cosa in questo Paese e con quali modalità”, e sulla selezione della classe dirigente. Pare quasi superfluo ricordare come in questo bizzarro Paese siamo stati governati – ed ancora oggi avviene, in ogni settore nevralgico – da una pletora di inetti, mediocri, politicizzati, frutto di nepotismo e familismo, in assenza assoluta di meritocrazia. E, assai grave, pure da una gerontocrazia inamovibile. E’ ora di dire basta a tutto ciò. Spazio ai migliori, ai più giovani (con una visione prospettica del futuro) e che rispondano dei propri sbagli.

Urge una rivoluzione culturale accompagnata da riforme serie e immediate. Altrimenti la voragine che ci ha inghiottito, il cui conto purtroppo viene presentato oggi alla classe media, a chi inizia il proprio percorso, alle persone oneste, non solo permarrà ma ancor più è destinata ad aggravarsi.   

Ovviamente tutto ciò non potrà prescindere da un accertamento delle responsabilità (e conseguente condanna a restituire il maltolto o i danni arrecati) poichè diversamente si consacrerà l’impunità. E l’impunità mina la certezza delle regole.

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