Cronaca

Attentato Brindisi, le indagini cambiano strada. Tramonta l’ipotesi “pazzo isolato”

Sempre più elementi rivelano la presenza di una possibile "organizzazione". Il killer ripreso anche 30 minuti prima del botto. Manganelli: "Pessima la gestione mediatica dell'evento"

Il killer è stato ripreso dalle videocamere anche alle 7.15 di sabato 19 maggio. Mezz’ora prima dell’esplosione che ha ucciso Melissa Bassi e ferito le sue amiche. Le videocamere di sicurezza, posizionate sul chiosco dinanzi alla scuola, lo ritraggono mentre passa per ben due volte. Ha lo sguardo rivolto verso il cassonetto blu che, di lì a poco, è pronto a esplodere. A otto giorni dall’attentato, però, gli investigatori sono sempre più convinti: non era solo. A organizzare l’attentato sono stati almeno in due, come dimostrerebbero i fotogrammi del video nelle mani degli investigatori. È il primo segnale di una svolta delle indagini. Una svolta che per si basa sull’analisi degli elementi in mano a investigatori e inquirenti che, dall’iniziale pista di un gesto “isolato”, iniziano a propendere verso una vera organizzazione. Nessuno pronuncia le parole “mafia” e “terrorismo” ma il clima, tra gli investigatori, sembra davvero mutare verso questa direzione. Il movente di un “folle” è un conto, compatibile con il gesto isolato o la vendetta. Il movente che lega due o più persone, invece, diventa più articolato e complesso. Non solo. A otto giorni dall’attentato, le probabilità che si tratti di un criminale del posto, sono sempre di meno: qualcuno l’avrebbe riconosciuto dalla foto pubblicata, in questa settimana, da giornali, tv e Internet.

NESSUNA segnalazione di rilievo, invece, pare sia giunta agli investigatori. L’ipotesi più probabile – allo stato delle indagini – è quindi che, ad azionare l’ordigno e organizzare l’attentato, siano state due persone arrivate da fuori e, almeno per ora, svanite nel nulla. Un’ipotesi che lascia sgomenti. Lo Sco della polizia e il Ros dei carabinieri, in queste ore, si stanno concentrando sulla dinamica dell’attentato. E sui possibili spostamenti degli attentatori nella notte tra il 18 e il 19 maggio, fino alla fuga, a partire dalle 7.45, l’ora dell’esplosione. L’incrocio che da viale Aldo Moro porta alla scuola Morvillo Falcone è uno dei pochi – forse l’unico della zona – non è munito di videocamere sui semafori.

Secondo i primi calcoli l’ordigno peserebbe intorno ai cento chili. Sembra impossibile che un solo uomo abbia potuto collocarlo dinanzi alla scuola indisturbato e, soprattutto , senza dare nell’occhio. Per l’operazione è stato necessario l’intervento di un complice, che abbia agito da “palo”, indicando il momento giusto per scaricare e lasciare il cassonetto blu, vicino al castello, senza essere visto da nessuno. L’ipotesi viene rafforzata dalle immagini del killer, riprese alle 7.15, quindi mezz’ora prima dell’esplosione: ha lo sguardo fisso, per lunghi secondi, rivolto verso il cancello della scuola. Quindi verso il bidone con l’esplosivo: sta coprendo le spalle al complice? È una delle possibilità. Infine, come abbiamo già scritto nei giorni scorsi, anche la “bomba” lascia propendere per una certa professionalità dei killer: l’innesco volumetrico, l’uso di esplosivo misto al gas, la filettatura sulle bombole del gpl, non sono opera di una persona che s’improvvisa. E quindi, le ipotesi terroristica di matrice politica, o mafiosa, da ieri per la prima volta si affacciano con più credibilità nelle ipotesi al vaglio degli inquirenti. Il capo della polizia, Antonio Manganelli, durante il 160esimo anniversario dell’istituzione, ieri ha dichiarato: “Non ho elementi per dire o escludere che si tratti di un atto di terrorismo. Sono un investigatore del passato e preferisco ragionare sulle persone e sulle cose. Avere una foto dell’autore della strage è un bel successo investigativo. Ora bisogna saperlo concretizzare”. Ma, ha aggiunto, “la gestione mediatica ha lasciato molto a desiderare. Anticipare le indagini sui giornali passo dopo passo non fa bene”. E gli investigatori, sotto la guida del pm brindisino Milto De Nozza e di Cataldo Motta, procuratore della Dda di Lecce, stanno provando a valorizzare ogni singolo dettaglio.

MANGANELLI da Roma avverte anche che il pericolo terrorismo è alto, riferendosi però all’episodio genovese: il ferimento di Roberto Adinolfi, ad dell’Ansaldo Nucleare, avvenuto il 7 maggio e rivendicato dalla Federazione anarchica informale: “La minaccia anarco-insurrezionalista è da non sottovalutare. È il vero terrorismo che può offendere il Paese”.

da Il Fatto Quotidiano del 26 maggio 2012