La sanità pugliese, già traballante, riceve un altro durissimo colpo. Una nuova voragine si apre nei conti: 18 milioni di euro letteralmente bruciati nel giro di sei mesi in interessi passivi maturati per il ritardo nei pagamenti dei fornitori delle Asl. Una situazione ben diversa da quella delle altre Regioni italiane alle prese con lo stesso problema. In Puglia, infatti, lo strumento per evitare tutto ciò c’era. Una delibera della giunta guidata da Nichi Vendola – la numero 2408 – datata novembre 2011, consentiva una transazione immediata tra Asl e fornitori. L’atto, approvato dall’esecutivo per tentare di limare il maxi debito da 1,5 miliardi, aveva messo a disposizione 600 milioni di euro. La proposta era di liquidare a stretto giro i conti più vecchi, a patto che le imprese fornitrici rinunciassero ai contenziosi, alle spese legali e al 2,5% dell’ammontare totale delle fatture. Unica clausola: spendere tutto e farlo entro il 22 maggio 2012.

Ed è qui che si è inceppato il meccanismo; nei sei mesi l’operazione è stata un totale fallimento. Dei 600 milioni a disposizione, solo 200 sono stati impegnati e liberati. Le fatture sono rimaste nei cassetti, i 400 milioni a disposizione anche, con la diretta conseguenza di produrre 18 milioni di euro in interessi passivi. Eppure il vantaggio che si poteva trarre era considerevole. Ad esempio il Policlinico di Bari – che assieme alla Asl Bat ha colto al volo l’occasione – per coprire una parte dei 350 milioni di euro di debito totale, ne ha utilizzati 80 di quelli messi a disposizione dalla Regione. Questa operazione ha comportato il risparmio di 8 milioni di euro – tra interessi passivi, spese legali e lo sconto del 2,5% su ogni fattura – che la struttura può così impegnare per dare servizi al cittadino.

Per contro, le performance peggiori sono state registrate nelle Asl di Bari, Lecce e Foggia. In cassa sono rimaste il 70% delle rispettive fatture. Il motivo: incuria, tempi troppo stretti, poca voglia di scartabellare tra i documenti. Difficile interpretare. Fatto sta che i soldi sono rimasti lì dove erano. E così non si è nemmeno rispettato il precedente obbligo imposto dalla giunta un anno e mezzo prima della predisposizione dei 600 milioni, ovvero quello di censire tutte le fatture. Cosa che avrebbe preparato il terreno per poter sbrigare velocemente le procedure nella fase liquidatoria.

Fa spallucce il direttore generale della Asl di Lecce, Valdo Mellone, che di debiti ne ha per 190 milioni: “Effettivamente non ci fa onore”, dice a denti stretti, “dobbiamo vergognarci”. Ora per tentare di salvare il salvabile – e non peggiorare la situazione facendo lievitare ancora di più gli interessi passivi – la Regione sta mettendo a punto una nuova delibera con la quale si rinnoverà la transazione per altri due mesi, vale a dire fino all’estate, aggiungendo altri 300 milioni di euro al fondo, nel tentativo di farli spendere. Se dovessero ancora avanzare delle somme, saranno distribuite direttamente alle imprese.

Tutto questo si inserisce in un quadro generale difficile; un altro aspetto negativo, infatti, è il dato relativo ai tempi di pagamento delle fatture che attribuisce alla Puglia la maglia nera italiana. La media regionale è di 300 giorni – quasi un anno – per pagare le aziende, arrivando a picchi estremi come quello dell’Ospedale oncologico “Giovanni Paolo II” di Bari, che riesce a pagare le fatture in media dopo 602 giorni di attesa. E questo non è un aspetto da poco perché per le aziende si traduce in un serio rischio di fallimento. La giunta cerca invece di arrivare ai 180 giorni di attesa. Una sfida non da poco. Il tutto, tra l’altro, mentre il presidente Vendola – alle prese con una nuova tornata di chiusura di ospedali per rientrare nei costi della sanità – punta il dito contro il governo Monti, reo di aver inferto un nuovo taglio alla sanità pugliese di 110 milioni di euro.

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