I dati di Bankitalia confermano: la liquidità della Bce usata per i titoli. I fidi sono calati. Anche gli istituti di credito sono andati sbattere contro il muro della recessione i soldi della Bce servono più che altro ad evitare il collasso del sistema finanziario
Cercate credito? Prego, ripassate più avanti, magari tra qualche mese. Assediati da migliaia di imprenditori in difficoltà, gente che chiede un aiuto per affrontare le secche della crisi oppure nuovi prestiti per rilanciare gli investimenti, i banchieri continuano a dare la stessa risposta standard. “Adesso non si può, non siamo in grado. Anche noi abbiano i nostri problemi, problemi gravi, che cosa credete?”. Già, i problemi della banche. Perchè anche gli istituti di credito sono andati sbattere contro il muro della recessione. E i soldi della Bce, come da mesi segnalano gli analisti, servono più che altro ad evitare il collasso del sistema finanziario. In altri termini: l’istituto di Franco-forte ha lanciato un salvagente alle banche, che erano rimaste drammaticamente a corto di liquidità. Salvati i banchieri, le imprese seguiranno, forse.
LEGGIAMO che cosa scrive a questo proposito l’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato ad aprile dalla Banca d’Italia. “La normalizzazione (dell’offerta di prestiti alle aziende) sarà possibile a condizione che il calo dei tassi sui titoli sovrani e il miglioramento della situazione dei mercati dei capitali si confermino nei mesi a venire”. In sostanza, la ripresa dei finanziamenti bancari è ipotizzabile nel futuro prossimo solo se lo spread continua a calare e il denaro riprende a circolare tra gli intermediari. Questa è la previsione degli analisti di Bankitalia formulata nel documento che, peraltro, è servito come base al governo per rispondere all’interrogazione parlamentare di cui si parla in questo articolo . Il problema vero è che “il calo dei tassi sui titoli sovrani” e il miglioramento della situazione dei mercati dei capitali” evocati dalla Banca d’Italia sono possibili solo se gli operatori ritrovano un minimo di fiducia sulla ripresa dell’economia globale. Se manca la fiducia nessuno investe e i mercati restano instabili. E se i mercati restano instabili, le banche non fanno credito, di conseguenza le aziende non possono investire e l’economia non riparte. A questo punto il cerchio si chiude, perchè senza segnali di ripresa la fiducia resta una chimera, i mercati virano al ribasso e via di questo passo in una spirale che sembra senza fine. Ecco perchè le banche, una volta ricevuti i soldi dalla Bce, se li sono tenuti in cassa oppure li hanno usati per comprare titoli di stato. Il timore dei banchieri è che di qui a qualche mese la situazione economica generale possa di nuovo peggiorare. Allora perchè prendersi dei rischi prestando soldi ad aziende che potrebbero affondare? Con queste premesse non è una sorpresa che tra febbraio 2011 e febbraio 2012 i prestiti concessi dai primi cinque gruppi bancari italiani siano diminuiti del 2,8 per cento.
A TAMPONARE la situazione, ma solo in parte, sono stati gli istituti di minori dimensioni, quelli più legati al territorio. I finanziamenti accordati da questa categoria di banche sono aumentati dell’1,4 per cento. In valore assoluto, comunque, lo stock dei prestiti alle imprese è diminuito: dai 915 miliardi di novembre 2011 siamo passati agli 895 miliardi registrati a fine febbraio 2012. Va poi ricordato che non tutti i debitori sono uguali e i banchieri hanno letteralmente sbattuto la porta in faccia alle aziende più problematiche concentrando gli impieghi sui clienti migliori. Secondo le statistiche della Banca d’Italia, nel 2011 i prestiti alle imprese classificate come “sane” sono addirittura aumentati del 6 per cento circa.
QUESTO SIGNIFICA che le banche, nel timore che l’economia possa ancora rallentare, sono disposte a prendersi ancora meno rischi rispetto a qualche tempo fa. Proprio come farebbe qualunque investitore: se in Borsa si prevede ribasso difficile che qualcuno compri azioni. Infatti le banche hanno messo i loro soldi sotto il materasso, o quasi. Anzi, meglio ancora, investendo in titoli di stato sono riuscite a lucrare sulla differenza tra il costo del prestito della Bce, offerto all’1 per cento, e i rendimenti garantiti dai titoli di stato, dal 3 per cento in su. Risultato: il valore di Btp e altre obbligazioni pubbliche in portafoglio agli istituti italiani è aumentato di oltre 60 miliardi. Intesa, cioè il più grande gruppo bancario nazionale, ha aumentato la sua esposizione verso il debito targato Italia dai 60 miliardi di fine dicembre 2011 ai 72 miliardi registrati alla fine dello scorso marzo. Unicredit nello stesso periodo è passato da 27 a 32 miliardi. I banchieri si difendono spiegando che senza i soldi della Bce avrebbero dovuto vendere enormi quantità di titoli di stato provocando un tracollo del mercato. Possibile. Anzi, probabile. Abbiamo evitato il disastro. L’economia però non riparte. E allora tocca accontentarsi delle buone parole della Banca d’Italia, che nel rapporto sull’eurosistema prevede che “effetti espansivi sull’offerta di credito saranno verosimilmente visibili nei prossimi mesi”. Speriamo.