Khaled Khalifa, famoso per il suo libro Elogio dell’odio (edizioni Bombiani), l’ho conosciuto nel giugno dell’anno scorso , ospite con me al programma di Gad Lerner “L’Infedele”. Ricordo ancora l’istante in cui lo vidi arrivare dietro le quinte e sorridermi. Era sudato, indossava delle ciabatte e il suo aspetto paffuto mi aveva fatto stringere amicizia con lui ancor prima che ci salutassimo. Khaled quella indimenticabile sera, riuscì a incantare tutti con il suo coraggio.
Sapeva che gli uomini del regime lo avrebbero ascoltato, mentre parlava del genocidio, come l’ha sempre chiamato lui, che accadeva in Siria. In molti quella sera gli chiesero “perchè torni in Siria?” e lui rispose “perchè devo stare con il mio popolo”. Qualcuno disse che nel mondo arabo non esistono scrittori non impegnati politicamente. Khaled Khalifa nè è la prova.
Mesi dopo Khaled mi mandò un messaggio dicendomi che, se le autorità siriane glielo avessero permesso, sarebbe venuto a Roma a tenere una conferenza e ci saremmo reincontrati. Ieri, uomini che vogliono umiliare un intero popolo, hanno rotto una mano a Khaled, a simboleggiare il volere che lui non scriva più. In un intervista telefonica, nelle ore successive in cui è stato liberato, scaraventato fuori da una macchina, Khaled ha detto “con una mano mi sarà difficile battere a macchina”.
Il mio augurio, caro amico, è di poter leggere altri, tanti, tuoi libri.