Tutto crollato sotto i colpi del progresso: la fine delle ideologie ha lasciato l’uomo solo con se stesso, reso improvvisamente “individuo”, fuori dalla massa (un’entità che ha cominciato a sgretolarsi proprio negli ultimi decenni del secolo scorso) e quasi privato della solidarietà sociale. Senza valori a cui appigliarsi, precarizzato nel lavoro, e il lavoro stesso smaterializzato, secondo la ben nota intuizione di André Gorz. Una condizione dolorosa, eppure quanto mai feconda, perché avvantaggiata dalla nuove tecnologie che hanno permesso di creare forme alternative di aggregazione sociale (i social network), certamente più labili delle precedenti forme di relazione, ma non meno fruttuose, perché produttrici di capitale sociale.
Nell’era della prevalenza dei legami deboli era quasi un punto d’orgoglio sentirsi post-moderni.
Invece no. Contrordine compagni. La doccia fredda viene proprio dal sociologo decano della società liquida, Zygmunt Bauman, che domenica 27 maggio era a Pistoia nell’ambito del Festival “Dialoghi sull’uomo”, a parlare di solidarietà sociale.
Dopo il consueto bagno di folla, in un momento di relax di fronte a una birra, ha dato il colpo di grazia all’idea di post-modernità. Un concetto troppo negativo, ha ammesso. Dal suo magico cappello è sortita l’ultima rivelazione di Lyotard, quasi un ripensamento o uno stravolgimento, quando ha affermato che “per essere moderni, bisogna prima essere stati post-moderni”. Ergo: siamo ancora dentro la modernità, anzi nel guado scivoloso di una modernità liquida in cui è sempre più difficile muoversi.
Bauman ci ha rimandati indietro. E, dal momento che non possiamo non dirci moderni, allora è probabile che siamo passati attraverso la post-modernità senza neppure accorgercene!