Ieri ero all’aeroporto di Roma, in partenza per Cagliari. Mi piace arrivare prima all’aeroporto, perché così posso mangiare il gelato in una delle due gelaterie di qualità presenti a Fiumicino. Stavo appunto andando verso la gelateria che sta dall’altra parte dell’aerostazione quando mi sento chiamare. Possibile che qualcuno della troupe che vola con me sia già arrivato e soprattutto stia da questa parte? Mi giro. No, è Domenico Procacci. Alzo gli occhi verso lo schermo luminoso, vedo che si sta imbarcando destinazione Nizza, il collegamento è chiaro e immediato: sta andando a Cannes, Garrone ha vinto qualcosa. Ci abbracciamo. Ci salutiamo. Due parole, perché il suo imbarco è quasi terminato. Proseguo verso il mio gelato. Già lo pregusto. Prenderò la coppetta più grande: meringa al cioccolato e panna.
Mentre vado verso il gelato, gioisco per Garrone. Molte mie note biografiche scritte da altri mi additano come il suo scopritore. Non è vero, Garrone si è scoperto da solo. Io l’ho aiutato nella burocrazia del suo primo film e ho distribuito, battezzando la Pablo, il suo secondo film. Tutto semplicemente qui. Ma io a Garrone voglio veramente bene. Ci siamo conosciuti quasi vent’anni fa, su un campo di calcio. E da allora per tanti anni Matteo è stato il punto di riferimento del centrocampo della mia mitica squadra di calcio. Garrone che arriva al campo di calcio mangiando la pizza; Garrone che illumina il gioco, quando gli va; Garrone che si incazza se sbagli un passaggio; Garrone che timidamente nello spogliatoio annuncia che il suo primo cortometraggio è stato preso in concorso al Sacher Festival; Garrone che non ama parlare; Garrone che sorride ancora oggi come un bambino; Garrone che ormai sento una volta ogni due anni.
Quando finalmente mangio il mio gelato, non so ancora cosa abbia vinto Garrone, ma il gelato è comunque più buono, perché se vince Garrone, se vince Procacci, io sono felice; perché se in un anno che sa di morte il cinema italiano ottiene un riconoscimento importante anche a Cannes, dopo Berlino, ebbene forse qualche conto con la fine annunciata dobbiamo pur farlo, per rinviarla questa maledetta fine; perché questa affermazione fa bene a tutti noi che facciamo cinema in questo paese che non si piega, che va avanti, che vuole e deve continuare a guardare il futuro con la testa alta e lo sguardo fermo.
Sì, ne prendo un altro di gelato, Matteo. Facciamo che io mangio il mio gelato e tu la tua pizzetta. Entriamo nello spogliatoio. Ci cambiamo. La maglia è sempre quella, blu con i bordi rossi. Ci guardiamo. Sorridiamo ancora. Giochiamo ancora.