In Italia un bimbo su mille nasce sordo, ma spesso la diagnosi arriva troppo tardi. Basterebbe sottoporre i piccoli a un semplice esame. Un’analisi non obbligatoria ma a discrezione regionale. Così, avere problemi di udito può dipendere dal posto in cui si nasce
In Italia un bimbo su mille nasce sordo, condizione che nella maggioranza dei casi viene diagnosticata in ritardo a causa delle carenze nazionali nella promozione dello screening di massa neonatale. Per individuare la potenziale sordità è necessario un esame che dovrebbe essere effettuato direttamente al nido, poco dopo il parto. Un’analisi non obbligatoria ma a discrezione regionale che condanna i bambini a un paradosso: destini diversi, a seconda della zona in cui vengono al mondo. Se un bimbo sordo nasce in Campania, dove lo screening è promosso per la totalità dei bebè, avrà la fortuna di iniziare repentinamente un percorso medico di sostegno. Mentre un coetaneo generato in una delle numerose regioni italiane che non sottopongono al controllo l’intera popolazione neonatale, crescerà come un bambino normale fino a quando non arriverà la diagnosi, in media tra i 12 e i 24 mesi.
Il ritardo avrà gravi ripercussioni sulla maturazione linguistica e sociale del piccolo che, nei casi più drammatici, potrebbe addirittura diventare sordomuto. La denuncia arriva dalla SioeChCf, Società italiana di otorinolaringologia e chirurgia cervico-facciale riunita in congresso a Bari fino al 26 maggio. “Lo screening neonatale per la sordità si fa poco in Italia – spiega Domenico Cuda, primario di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza – anche se alcune realtà sono ben organizzate, come la Liguria, alcune province del Veneto o l’Emilia Romagna che è in fase attuativa. Ma manca un piano strutturato e globale che imponga l’esame su scala nazionale alla totalità dei bambini. Magari si fa in singoli ospedali ma non in tutto il territorio di una Azienda sanitaria locale, creando una disparità diagnostica irragionevole spesso basata su pochi chilometri tra una clinica qualificata e un’altra sprovvista”.
L’esame è rapido e simile a quello per misurare la temperatura corporea. “Generalmente è il personale del nido ad effettuarlo, si accosta all’orecchio un’apparecchiatura che esegue emissioni otoacustiche per scoprire possibili disturbi uditivi che se saranno rilevati indirizzeranno i genitori ad ulteriori approfondimenti con esperti audiometristi nel reparto audiologico. Su 100 bambini, dai 5 ai 10 risultano da monitorare alla nascita. Casi che, dopo gli step indicati, si riducono a 3-4 con solo un bimbo ogni mille portatore di sordità importante”.
Per garantire la copertura nazionale, bisogna attendere l’aggiornamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza. “Nei prossimi Lea lo screening é previsto – conclude Coda – ma il documento è chiuso in un cassetto da anni in attesa di essere approvato. Indugiamo sulla salute dei neonati mentre altri Paesi, dal Regno Unito agli Stati Uniti d’America, hanno superato da tempo l’impasse. Siamo indietro persino rispetto alle ex repubbliche sovietiche, come la Polonia dove lo screening neonatale per la sordità è garantito a quasi il cento per cento della popolazione”.
di Adele Brunetti