E’ una “catastrofe senza vittime” quella che ha colpito il polo biomedicale di Mirandola. Un complesso che rifornisce moltissimi ospedali italiani di apparecchiature per le terapie medico chirurgiche, dai tubi delle flebo ai macchinari per la dialisi e che, dal sisma di domenica mattina, ha subito danni per 400 milioni di euro. Qui si trovano circa 3.000 dei 5.000 lavoratori messi in cassa integrazione grazie alla richiesta congiunta di Confindustria Modena e dei sindacati, e qui, punto di riferimento europeo nel settore biomedico, le fabbriche sono chiuse.
Il 70% delle imprese, dalle 5 multinazionali alle 100 piccole realtà, ha subito danni strutturali o impiantistici così gravi che in molti hanno dovuto spegnere le macchine e bloccare la produzione. Uno stop, spiega Sauro Prandi, assessore comunale alle Attività produttive, che colpisce duramente non solo il settore medico – sanitario italiano, paralizzando un polo da 5.000 addetti per un fatturato aggregato di 800 milioni di euro, ma “che rappresenta uno dei principali motivi d’allarme per la nostra città. Il distretto deve ripartire assolutamente perché buona parte dell’economia locale è basata su questo settore”.
I danni causati dal terremoto di domenica mattina e poi dallo sciame sismico, che solo questa notte ha provocato 11 scosse, le più forti quelle registrate alle 20,18, di magnitudo 4, e alle 22.25, di magnitudo 3.8, entrambe con epicentro nel modenese, continuano ad aumentare e la situazione del tessuto economico locale è allarmante, tanto che per il polo biomedicale, specializzato soprattutto nel campo renale, cardiovascolare e trasfusionale, il bilancio è già gravissimo, anzi, “incalcolabile”.
“Questo non è un fatto locale – ha aggiunto l’assessore Prandi – perché Emilia Romagna e Lombardia, entrambe colpite dal sisma, sono centri nevralgici della produzione e il riavvio è necessario, perché si traduce in occupazione, reddito e ovviamente, consumi”. E a Mirandola, su una popolazione di 25.000 persone, il 50% circa ha subito danni più o meno gravi.
Ma più le fabbriche rimangono chiuse, più la stima sale, con costi di centinaia di migliaia di euro giornalieri per molte realtà. La situazione a Mirandola, e non solo, è simile a “una macchia d’olio, con il passare del tempo si allarga ed è sempre più difficile pianificare gli interventi”. I sopralluoghi, ma anche la rimozione delle macerie e poi la ricostruzione. Un passo che, nel modenese, per molti è vicino, forse qualche mese, ma che per altri potrebbe non arrivare.
C’è chi, ad esempio, ha visto la facciata della propria fabbrica intatta, ma aprendo la porta ha scoperto che il tetto era completamente crollato e all’interno non c’era rimasto nulla di integro. O chi, pur avendo costruito appena qualche anno fa, ora sta montando tendoni esterni per salvare il salvabile, perché buona parte della struttura è collassata o, addirittura, implosa. Alla Renolit Solmed, azienda di Mirandola che produce materie plastiche per il comparto medico, tra cui le sacche per la raccolta del sangue e per i sistemi di dialisi, ad esempio, il capannone costruito appena cinque anni fa è crollato su se stesso, seppellendo macchinari e prodotti pronti per la consegna. Alla Gambro, la multinazionale svedese che produce le macchine e i dispositivi usa e getta per la dialisi, con 800 addetti e un valore della produzione superiore ai 250 milioni di euro, si è dovuti ricorrere alla cassa integrazione perché la produzione italiana è bloccata dai continui sismi e si attendono i sopralluoghi. Alla Bellco, gruppo Sorin, società pioniera del polo industriale modenese, le attività sono sospese, l’unico settore che al momento lavora è quello amministrativo.
“La priorità per noi sono i pazienti – ha sottolineato Stefano Rimondi, amministratore delegato della Bellco – quindi stiamo cercando di contattare tutti gli ospedali che si riforniscono da noi per capire chi è a corto di forniture, così da dare la precedenza alle strutture in difficoltà e garantire il migliore servizio possibile alle persone. Non è facile, però, perché abbiamo subito danni gravi, abbiamo aree inagibili e più di 150 lavoratori in cassa integrazione”.
“Se non si dovesse ripartire subito sarebbero in tanti a soffrire, in tutta Italia – spiega il sindaco di Mirandola – ma o si riparte assieme, o non riparte nessuno”. Nemmeno un settore come quello biomedico, così forte da aver resistito alla crisi economica, fatto di eccellenze, di realtà brevettate uniche e punti di riferimento di livello mondiale. Un’area dove ora i soli a poter lavorare sono gli operai che stanno ripulendo le macerie, e le gru, che a decine occupano il distretto industriale di Mirandola nel tentativo di velocizzare la ripresa.
Oggi però anche loro parteciperanno alla fermata simbolica prevista in tutti i luoghi di lavoro, “che sarà effettuata anche a Modena e provincia, a partire dalle 15.30, per commemorare le vittime del sisma in Emilia-Romagna”. Questo, infatti, è quanto hanno deciso, in ricordo delle sette persone scomparse nel terremoto dello scorso 20 maggio, le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil che, si legge in una nota, “hanno proclamato per oggi una fermata simbolica in tutti i luoghi di lavoro”.
“Qui di vittime fortunatamente non ce ne sono state – dicono dal Comune di Mirandola – ma ciò che verrà dopo il terremoto, il calo occupazionale, le imprese in crisi, i negozi chiusi, avrà delle ripercussioni anche psicologiche sulla popolazione”.