Al peggio non c’è mai fine. E così, l’intrigo di Calcio Gomorra, rischia di capitolare sulla fine, cioè sul ‘quando’ e sul ‘come’ sarà scritta l’ultima sentenza. Sarà una fine veloce? Una soluzione parziale e accomodante? Oppure radicale? Credibile, generale, a tolleranza zero? La clessidra del tempo calcistico, necessariamente, si scontra col metodo lento di un sistema labirintoso e garantista.
Perché la Commissione Disciplinare Sportiva (quella che penalizza, radia, retrocede, riscrivendo verdetti del campo e classifiche) è legata alle indagini della magistratura ordinaria (quella che manda in galera i calciatori). E allora, che fare? “La giustizia sportiva – scrive oggi Andrea Monti sulla Gazzetta dello Sport – ha criteri ed esigenze diverse. Deve agire in tempi brevissimi. E quindi adotta un sistema efficace quanto difficile da digerire” (spetta all’accusato provare l’innocenza, l’opposto in tribunale).
Sinora, però, siamo ‘solo’ alla terza trance di Cremona e alla prima puntata di Bari. Nelle procure, fanno capire i magistrati, il quadro non è ancora definitivo, mancando all’appello sicuramente altri spezzoni pugliesi, forse nuovi filoni lombardi, ma soprattutto le inquietanti carte di Napoli. E allora, come può ammantarsi di equità e giustezza il maxi processo sportivo che giovedì prossimo si aprirà al Foro Italico? Riuscirà in soli due mesi Sergio Artico (capo magistratura FIGC) a fare tabula rasa, una volta tutte? Colpendo ogni mariuolo e non solo alcuni? E poi, in caso contrario, quante e quali altre scorie saremo costretti a tirarci dietro per anni, se ancora oggi si indaga su Calciopoli-bis del 2006 e la Juventus rivendica il diritto della terza stella? E’ giusto bruciare un’opportunità di giustizia (sportiva) per compiacere le liste delle coppe europee, da consegnare all’Uefa entro fine Luglio?
Abete (FIGC) ha già messo le mani avanti: “Dobbiamo essere veloci. Non possiamo aspettare l’ultima carta della Procura”. Proprio perché da Cremona, Di Martino (PM) ieri non si è tirato indietro: “Se vogliamo, la fine non c’è mai”. Fango e marcio sono dappertutto. I 150 tesserati inquisiti, ci dicono che il giro delle scommesse, oltre che senza frontiere, è immenso e ramificato, nelle serie inferiori, forse più o quanto nei tornei da copertina. E il mostro, sostiene l’accusa, ha già dato prova di sapersi auto-replicare, mutando interpreti a seconda delle circostanze, sostituendo gli ‘zingari’ bruciati dai primi arresti con gli ungheresi, lasciando inalterate vincite e over di gare addomesticate. E allora perché escludere altri, nuovi e sempre più inquietanti scenari? Cos’altro hanno in mano Cremona, Bari e Napoli, che la FIGC ancora non conosce e che, per forza di cosa, non potrà processare in tempo entro fine Luglio? La piovra è tentacolare, fitta e ampia: l’impianto probatorio pesantissimo. Si parla di mafia, di operazioni sospette, joint venture, canali di investimento internazionali, globalizzazione delle scommesse manipolate sui siti internet, imboccate su pavidi e accondiscendenti calciatori. Testa ad Hong Kong e Singapore, base operativa tra Balcani e Mittle Europa, punti terminali in Italia, complessivamente 50 paesi tra le grinfie del drago d’oriente.
A capo, il boss singaporiano Eng Tan Sett, poi Gegic, Ilievski, Strasser e Horvat, fino a Doni, Erodiani, Bellavista e Beppe Signori. In mezzo, criptate, le cosche mafiose, clan camorristici e la ‘ndrangheta, tanto che il Ministro dell’Interno Cancellieri dice che le famiglie di Cosa Nostra ormai riciclano il denaro sporco sulle scommesse del calcio.
Rispetto ai fantasmi del passato, conditi da osti e fruttivendoli, quando col Totonero del 1980 al massimo ci si poteva spingere fino alla Banda della Magliana, il Calcio Gomorra di oggi è un mostro globale, figlio della globalizzazione e dei mercati mondiali, delle potenzialità del web e della circolarità planetaria delle informazioni just in time. Qualcosa di abnorme e smisurato per un mondo di regole troppo piccolo, rimasto agli anatemi d’era decoubertiana. Qualcosa di sproporzionato che mobilita lo SCO della Polizia, fa tremare i polsi agli inquirenti e che la giustizia sportiva (pur con tutta la buona volontà degli 007 dello stoico Palazzi) non può pensare di liquidare salomonicamente in soli due mesi estivi, col rischio di colpire (frettolosamente) solo segmenti di una ragnatela trasversale. Certi errori, per carità, lasciamoli al passato.
Per questo, fugando spauracchi d’amnistia, invertendo corso della storia e sospetti su terapie ferragostane, lancio pubblicamente l’appello di una proposta scabrosa ma sana: l’unica soluzione è il blocco totale del calcio italiano. Non c’è alternativa. Per una stagione intera (2012/13) vanno fermati tutti i campionati maggiori, dalla Serie A alla Seconda Divisione di Lega Pro. Fermiamoli per fare chiarezza su un sistema che – col passare degli scandali – sta diventando sempre più l’ombra imbarazzante del mito di un calcio antico che non esiste più, mostrando le falle di un mondo verso cui, ormai, si fatica a riporre fiducia e credibilità. Fermiamo i campionati, facciamolo subito. Fermiamoli, utilizzando (utilmente) il tempo di un anno di transizione per aprire una stagione di riforme strutturali, dotando il pallone di efficaci anticorpi per contrastare la corruzione e le altre brutture di un malaffare tipicamente italiano (riforma della governance dei club, riforma della leva fiscale e della Legge 91/81 sul professionismo sportivo, legge sugli stadi, carta dei diritti del tifoso, operazione survival della cultura calcistica, etc..)
Certo, anche a me pare impossibile che una macchina che fattura 2 miliardi di euro l’anno, oltre 4 per le scommesse lecite e col giro d’affari globale sul mercato asiatico (fonte Interpol) stimato in 120 miliardi di dollari annui, possa improvvisamente fermarsi per un’operazione pulizia. Però se sinora (1915-19, 1943-45) la sospensione dei campionati ha coinciso con l’ingresso dell’Italia in guerra, un anno di pausa al termine dei prossimi Europei, gioverebbe alla salute dei tifosi e agli addetti ai lavori per ritrovare le forze di un rinnovamento che può nascere solo percorrendo la strada della legalità (anche sportiva), uscendo indenni da questa maledetta guerra sommersa.