Militari americani che puliscono parchi, scout che raccolgono immondizia dagli argini dei fiumi, meeting fotografici in vere e proprie discariche immerse nei boschi. Negli ultimi mesi a Catania e dintorni si moltiplicano le azioni di pulizia straordinaria. Strategia delle istituzioni in vista della stagione turistica? Macché. Ad armarsi di ramazze e palette sono cittadini e associazioni. Dalle vie centralissime deturpate dai graffiti, alle piazzette degradate fin su al parco regionale dell’Etna, il vulcano in lizza per entrare nella lista Unesco: qualsiasi luogo può diventare terreno fertile per questi gruppi. Le amministrazioni comunali – che dovrebbero provvedere alla pulizie di queste aree con gli appositi fondi in bilancio – il più delle volte ringraziano e proseguono. I più generosi devolvono alla causa qualche sacco dell’immondizia. Ma solo ogni tanto.

In tempi di crisi è “uno scambio equo” secondo Claudio Torrisi, assessore all’ecologia del comune di Catania, città di nuovo alle prese con falle di bilancio (con tanto di bollette energetiche milionarie non pagate e stipendi dei dipendenti a rischio): “I volontari e le associazioni mettono la forza lavoro, noi il materiale”. Sacchi, guanti, scope, operai e mezzi: la lista degli utensili da fornire è standard, l’assessore la snocciola con scioltezza. “Le segnalazioni avvengono sempre su iniziativa dei volontari che si mettono in contatto con l’amministrazione”, continua Torrisi. Anche il luogo è scelto da quanti si armano di rastrelli, ma alle volte serve correggere il tiro. “Nel caso in cui la zona non ha particolari criticità, è il Comune a segnalare altri punti”. A dirottare i volontari verso posti più trascurati, dunque. E a quanti denunciano l’abbandono d’intere porzioni della città che costringe ad azioni dal basso l’assessore replica che si tratta di critiche strumentali fini a se stesse. “È lodevole la responsabilizzazione dei cittadini, ma non si può fare affidamento esclusivamente sul loro impegno”, afferma Saro D’Agata, consigliere comunale all’opposizione, in quota Pd. Un conto è il senso civico, sostiene, un altro è affidarsi completamente alla buona volontà altrui. “Azioni di questo genere sono utili, ma denotano le carenze organizzative di chi dovrebbe occuparsi del verde”.

A Catania sono novanta gli operai della Multiservizi destinati alla cura dell’ambiente. Secondo il presidente dell’azienda partecipata del Comune, Angelo Sicali, “le emergenze in una città come Catania non mancano mai. Questo significa che si devono stabilire una serie di priorità. Le risorse umane vengono spostate dove serve”. Pazienza se un parco si ricopre di rifiuti; dall’altro capo della città gli alberi ai lati delle carreggiate rischiano di crollare sulla strada e serve un intervento urgente. “Se non si possono spendere più soldi – sostiene D’Agata – basterebbe un’organizzazione più razionale”. In attesa dell’auspicata razionalizzazione ci pensano intanto associazioni e social network. Allora capita che a ripulire parchi nell’intera provincia, le zone costiere e l’unico bosco al confine di Catania siano i militari statunitensi della base aerea di Sigonella. Con il beneplacito di sindaco e assessore. Succede anche che siano i commercianti del centro o i costruttori dell’Ance a ripulire – a spese proprie – i muri ricoperti da strati di graffiti e manifesti abusivi di perle della città come via Etnea o la barocca Via Crociferi. Nei quartieri di frontiera come San Cristoforo, invece, scendono in campo gruppi di giovani volontari con azioni di guerrilla gardening. Nel bellissimo parco fluviale dell’Alcantara è stato lo stesso direttore a chiedere alle associazioni e agli scout di intervenire e aiutare nella pulizia degli argini a valle delle famosissime gole, invasi dai rifiuti dopo il cedimento di una discarica abusiva sepolta nel fango e trascinata dalla furia delle acque. I cittadini rispondono a centinaia agli appelli per tutelare il paesaggio. A loro può anche capitare di imbattersi in un potenziale abuso d’ufficio acquistando sacchetti e guanti in lattice.

È il caso dei circa 70 volontari che un paio di settimane fa hanno partecipato alla prima “Raccolta indiscriminata”, una pulizia straordinaria all’interno del parco dell’Etna, che serve a testimoniare lo stato di abbandono delle zone inquinate. Area in teoria tutelata, in realtà regno incontrastato di chi considera il vulcano una pattumiera. A quanti sono accorsi nel paese etneo di Nicolosi è sembrata una beffa la presenza di un solo operaio, un camioncino e qualche sacchetto: “Siamo proprio a ridosso delle elezioni, questi vengono considerati come debiti fuori bilancio”, è stata la risposta dell’assessore alle politiche per l’Etna del Comune, Marisa Mazzaglia. La prossima raccolta è prevista per il 10 giugno, a Zafferana Etnea, e in molti si chiedono già se questa volta ci sarà bisogno di portare i sacchetti da casa. Nel parco, candidato alla nomina di patrimonio dell’Unesco, gli ultimi censimenti registrano più di 250 discariche abusive. I comuni si tutelano come possono, costretti ad intervenire solo nelle zone demaniali. Ma 59mila ettari sono difficili da controllare, soprattutto per dei volontari. Tra rifiuti entrati ormai a far parte dell’ecosistema locale e bottiglie di bibite dall’aspetto tipicamente anni ’80, ci si trova anche davanti a cumuli di eternit, pneumatici e laterizi. E lì bisogna fermarsi, perché si tratta di rifiuti pericolosi per i quali devono intervenire le amministrazioni e pagare raccolta, trasporto e conferimento in discarica. Più, questa volta, la manodopera.

di Carmen Valisano

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