Sono morti allo stesso modo, a Modena, schiacciati da capannoni di cartone, mentre lavoravano. Come una settimana fa, a Ferrara. Eppure era tutto in regola, giurano gli imprenditori. Soltanto una fatalità, come si dice sempre in Italia quando a morire sono gli operai.
L’Emilia non è L’Aquila: è una delle regioni più ricche del Paese, con un sistema economico dinamico ma delicato, che vive di distretti e di subfornitura. Non può fermarsi un attimo. Le aziende sono ripartite subito, dopo il sisma della settimana scorsa, perché i committenti ci mettono un attimo a rifornirsi in Cina se a Mirandola o San Felice la ditta è ferma. Un governo interessato alla crescita dovrebbe intervenire subito per evitare il collasso economico, ma anche chiedersi perché in una Regione così civile sembra normale che le fabbriche crollino sulla testa dei propri dipendenti, più fragili delle chiese del Cinquecento.
Sono sgradevoli le polemiche che seguono una catastrofe naturale. Eppure, dopo le scosse che ieri hanno devastato Modena e l’Emilia, bisogna riconoscere che negli otto giorni tra il primo e il secondo terremoto è stato sottovalutato ciò che stava succedendo, forse non c’erano stati abbastanza morti.
Televisioni e giornali sono stati occupati dall’attentato di Brindisi, poi da elezioni e scandali vaticani. La politica ha assicurato che l’Emilia si sarebbe ripresa in fretta ed è passata ad occuparsi di altro. Ma a fronte di danni per oltre 500 milioni di euro (da ieri molti di più), uno Stato pronto a buttare miliardi nel Tav è riuscito a trovare solo 50 milioni per gli aiuti. Quando i seimila sfollati nella Bassa emiliana hanno cominciato a percepire l’abbandono da parte delle istituzioni e il disinteresse del resto del Paese, i loro timori sono stati liquidati come espressione dell’italica propensione all’assistenzialismo. Ora gli sfollati sono tra 14 e 20 mila, la macchina dei soccorsi si è attivata come se si trattasse di una nuova emergenza e non di un’evoluzione di quella già in corso.
Il lutto nazionale proclamato dal governo arriva con una settimana di ritardo.