L’Italia è un Paese coraggioso, che deve ritrovare la sua identità smarrita nei marosi di una crisi mondiale senza precedenti. Gli italiani all’estero lo sanno bene e guardano da lontano il loro Paese con gli occhi lucidi di chi ama, di chi adora la propria terra. Noi italiani sappiamo levare al cielo le braccia per sollevare trofei così come siamo capaci di farlo per sollevare una vita salvata dalle macerie.
Gli italiani sanno piangere e sorridere con l’anima e sono instancabili costruttori di futuro. Molti giovani partono per costruire altrove la propria vita così come molti tornano per provarci ancora nel loro paese d’origine. Ci sono i momenti della rabbia ma anche quelli della voglia di ricostruire. I tempi in cui il dinamismo del nostro Paese si misurava con la vitalità delle sovrastrutture mediatiche, sono finiti. Oggi l’Italia appare un Paese nelle mani degli italiani che decidono come ricominciare con la concretezza di chi non si lascia abbindolare da ormai inutili “strategie dell’attenzione”.
La pausa di Monti alla domanda di Formigli su LA7 “cosa direbbe ad un giovane che lavora per 5 euro all’ora?” è la metafora dei nostri tempi. Cosa si può rispondere ad una domanda cosi? Solo il silenzio è una risposta chiara. Ci sono domande a cui non si può rispondere così come risposte cui non si può dare ascolto. Il silenzio, invece, a volte è il rifugio ideale per chi deve agire. E’ questo il tempo dell’agire in fretta e con coraggio. E’ il tempo in cui fronteggiare la terra che trema con il coraggio e la dignità, è il tempo di sentirsi italiani vicini gli uni agli altri.
Oggi dobbiamo sentirci tutti emiliani e dobbiamo assicurare ai nostri connazionali che non sono soli. Nelle testimonianze di questi giorni da Mirandola, Finale e dagli altri paesi colpiti dal terremoto abbiamo spesso sentito la frase: “non si è visto nessuno”. Eppure non è così, perché abbiamo visto sindaci in giro 24 ore al giorno per fronteggiare le emergenze infinite, stanchi e con la barba incolta, abbiamo visto muoversi i tanti volontari nelle tendopoli e nei luoghi di raduno all’opera per provvedere alla preparazione di pasti caldi. Eppure la gente si sente sola. E’ una solitudine interiore che amplifica l’effetto del terremoto come fosse l’ennesimo sintomo di una insicurezza generale. E’ una solitudine civica di chi non vede il futuro, e non riesce a ritrovare riferimenti in quest’Italia dove tutto trema: l’economia, la politica, la chiesa, le scuole e finanche il calcio.
Un terremoto diffuso che crea paure ed incertezze. Ma gli italiani sono coraggiosi e sapranno risollevarsi anche dalle macerie. Questo 2 giugno forse può essere la prima festa della Ricostruzione. C’è un Paese da ricostruire. All’estero tutti ne sono sicuri, gli italiani ce la faranno. Che questa festa sia la festa degli italiani che riprendono in mano pala e martelli in Emilia come nel resto del Paese. Che si torni ad essere la gente operosa e solidale di sempre che riesce a prendere per mano l’altro che ti è accanto mentre tutto intorno sembra crollare. Tutti insieme, in divisa o con le maniche rimboccate. Non è il tempo delle parate o delle cerimonie, ma quello della ricostruzione dell’Italia. L’era glaciale dell’egoismo con i suoi protagonisti, è ora di metterla alle spalle.
Massimo Pillera