Nel paese di Pico nessuno sa più niente. Solo che la terra ostinata non dà tregua e nella tendopoli del campo sportivo, quando arriva l’ennesima scossa, un’anziana accaldata bisbiglia piano, come fanno i bambini: “Basta, basta, basta”. Qualcuno si lamenta, qualcuno prega, qualcuno bestemmia. I cani scappano inquieti perché non c’è nulla di più animale di questa paura eterna che dura dal 20 maggio, in un’allerta senza sosta che non ha ordine: né giorno né notte. Tutto vacilla, attorno, e la gente sta con il naso all’insù per capire se è solo un’impressione o “ne è arrivata un’altra”: l’equilibrio e il sentimento della sicurezza sono un ricordo. Vicino ai Vigili del fuoco ci sono gli psicologi, perché la messa in sicurezza non è solo una questione di muri.
“Sono aumentate moltissimo le richieste di tranquillanti”, spiega il dottor Gianni Luppi. “Le persone arrivano qui con attacchi d’ansia, di panico e sindromi da stress post traumatico. Più che le medicine per i contusi, andiamo avanti a Tavor”. A tutti gira la testa, qualunque cosa si muove fa paura. Nell’orizzonte di divise e caschetti il sindaco Maino Benatti, 55 anni del Pd, corre indaffarato tra una tenda e l’altra: il Municipio è inagibile e si è trasferito qui. I giornalisti gli danno noia, si scansa e risponde a mille telefonate. Trova un attimo solo per ricordare Gianni Bignardi, l’ingegnere di 62 anni che martedì è morto nel crollo della Meta di San Felice sul Panaro, mentre faceva un sopralluogo, l’ennesimo in queste settimane di macerie dappertutto. “Lo conoscevo molto bene. Era una bravissima persona, un punto di riferimento a Mirandola. Lavorava spesso anche per il Comune”. Suo figlio Andrea, ingegnere come il papà, era qui ieri quando ha saputo: nessuno ha parole per raccontare il dolore. E nemmeno voglia: Carlo abbassa lo sguardo su fogli pieni di elenchi e bisogni, torna a lavorare.
L’ingegner Bignardi aveva perlustrato il centro della sua Mirandola, dove aveva anche lo studio. Jacopo Della Porta, un giornalista di Modena qui, lo aveva incontrato e intervistato il 24 maggio, nel centro della cittadina, in via Pico davanti al Duomo che era ancora in piedi. Alcuni negozi avevano riaperto, la gente era per strada: si cercava di ricominciare, dopo lo sconquasso del 20 maggio.
“Dal mio sopralluogo emergono gravissimi danni a moltissimi edifici del centro storico”, aveva detto Bignardi, elmetto rosso in testa e gilet colorato sopra la camicia. “E sono strutture sia di antica che di recente costruzione, intendo case di alcuni decenni fa. All’interno ci sono volte di scale cadute e crepate, controsoffitti crollati. Comignoli, e tegole per terra”. Poi questa e quella casa, in una ricognizione veloce: “Ci sono delle casacce , vecchie, brutte che non avresti mai detto che sarebbero rimaste in piedi e invece sono lì. Ci sono case costruite nel ‘400 come Palazzo della Ragione, vicino al Municipio, e altre praticamente nuove: la disomogeneità dei danneggiamenti dipende anche dai materiali. La sede del Municipio è messa molto male, non si può nemmeno entrare perché è a rischio crollo”.
Anche gli altri uffici, che ospitano l’urbanistica e i lavori pubblici “hanno visto crolli di volte a livello di controsoffittature. I cornicioni sono caduti sulle scrivanie: tutte le pratiche sono per aria”. Poi un pensiero per Mirandola “che ha avuto molti danni e se ne parla poco: non è che vogliamo una classifica della disgrazia, però Mirandola è colpita come altre. Non deve passare l’idea che non abbiamo avuto danni. Li stiamo scoprendo, purtroppo”. La spiegazione tecnica più tremenda riguarda quei capannoni che sarebbero crollati qualche giorno dopo. La fragilità di uno l’avrebbe portato via: “I capannoni sono le strutture più a rischio perché le travi hanno un appoggio più limitato. E se l’intensità del terremoto è talmente grossa da provocare spostamenti dalla sommità del pilastro tali da superare l’appoggio delle travi, le travi cascano. E crolla tutto”. Non era una profezia o un presagio: l’ingegner Bignardi lo sapeva.