Roberto Saviano mostra, ancora una volta, quello che la televisione potrebbe essere.
Testata: NZZ
Data di pubblicazione: 26 maggio 2012
Articolo originale di Franz Haas.
Traduzione di Cristina Bianchi e Claudia Marruccelli per italiadallestero.info
In Italia regna il malcontento. Il programma di tagli di Mario Monti, i suicidi ricorrenti di imprenditori in difficoltà economiche e la mafia forniscono a Saviano argomenti di cui parlare in televisione.
Nelle ultime settimane il malumore in Italia si fa sentire di più che nella maggior parte dei paesi della zona Euro. Una nuova forma di terrorismo prende vita in maniera isolata, il popolo protesta in massa, talvolta anche violentemente, contro il fisco; la disperazione per le difficoltà economiche è sempre più spesso causa di suicidi.
Sulla base di un tale stato d’animo avvelenato, la settimana scorsa Roberto Saviano è stato protagonista di tre lunghe serate sull’emittente televisiva La7, dando vita al meglio della cultura televisiva e dimostrando che anche la televisione può affidarsi alla lingua parlata.
Avere o non avere
Assieme all’abile conduttore Fabio Fazio, nell’ottobre 2010 Roberto Saviano con i suoi monologhi aveva già ottenuto ascolti da dieci milioni di telespettatori, quando era ancora con la Tv nazionale Rai Tre. A causa delle epurazioni sotto il governo Berlusconi i due “dissidenti” dovettero dirottare verso l’emittente di nicchia La7, dove al momento il successo permane nell’ambito dei tre milioni di telespettatori.
Questo è ancor più stupefacente considerando il carattere intelligente del giornalismo che viene offerto, e la Rai sta già corteggiando nuovamente questi due personaggi televisivi così in gamba. E il cui ritorno sarebbe assolutamente possibile con la svolta politica del governo di Mario Monti. Per lo scrittore Saviano, che nel 2006 ottenne fama mondiale con il romanzo “Gomorra”, questo rappresenterebbe un allontanamento ulteriore dal mondo della letteratura e per l’Italia costituirebbe un utilissimo spazio di informazione televisiva in prima serata.
“Quello che non ho”, la nuova trasmissione, rievoca il titolo di una canzone di Fabrizio De André e offre – assieme a intrattenimento spensierato e sconcertanti episodi informativi – soprattutto l’immagine suggestiva di una nuova Italia. Il paese, che dopo l’era Berlusconi ha creduto in un benefico purgatorio, ora continua a soffrire dei suoi antichi dolori, ulteriormente acuiti dalla crisi globale.
Il seguito ottenuto dal movimento populista di protesta del comico Beppe Grillo non è che uno dei tanti sintomi. Stando ai sondaggi, in questo momento più del 40% degli italiani non andrebbe assolutamente a votare. Questo malumore viene percepito anche da Mario Monti. Quando salì al governo a novembre venne acclamato come salvatore dall’80% degli italiani; dopo tre settimane l’entusiasmo era calato al 60% e dopo sei mesi la fiducia nei suoi confronti era precipitata al 40%.
Il programma di austerity di Monti, con cui taglia in tutti i settori più deboli, spinge anche qualche cittadino onesto alla disperazione. In questo periodo stanno aumentando in modo allarmante i suicidi causati da panico economico: anziani ai quali è stata decurtata la pensione, operai che hanno perso il posto di lavoro, ma soprattutto piccoli e medi imprenditori che non riescono più a pagare gli stipendi ai propri dipendenti e non sanno più come tirare avanti. Notizie di questo tipo fanno quasi ormai parte della vita di tutti i giorni: per questo Roberto Saviano ha aperto la prima puntata con un monologo su queste tragedie.
«Si muore per i debiti» anche nel ricco nord, «per amore dell’azienda e dei dipendenti» e per l’umiliazione «di non essere più in grado di pagare gli stipendi». Partendo da qui Saviano fa, in maniera retorica, collegamenti vincenti tra la crisi delle banche e la criminalità organizzata, il tema di sua competenza. Proprio perché le banche non concedono più credito alle aziende in difficoltà, la mafia sarebbe ora «il primo finanziatore in Italia», di cui sempre più imprenditori diventano vittime a causa dei tassi da usura.
Nella seconda puntata Saviano ha letto la lettera di un mafioso al suo boss incarcerato, apparentemente scritta in toni innocui, ma in codice. La interpreta secondo tutte le regole dell’ermeneutica, con la conoscenza più profonda del codice d’onore, dell’orrore e della potenza economica delle diverse «onorate società» del meridione, che ormai allungano i tentacoli anche verso i punti nevralgici dell’economia del nord.
Saviano ritiene che lo Stato, che sta perdendo in questo modo miliardi di euro, dovrebbe istituire sportelli pubblici, «come lo sportello alla posta», ai quali possano rivolgersi cittadini e imprenditori in difficoltà per sfuggire alla mafia e al suicidio. Trattandosi di temi così sconvolgenti, naturalmente, neanche il carisma intellettuale e le conoscenze del trentaduenne Saviano sono bastati a sostenere tutte e tre le puntate, durate oltre tre ore ciascuna.
Al suo fianco ha partecipato una schiera di ospiti di alto livello: ognuno ha letto una breve lettera personale. Tra loro, i registi Ermanno Olmi e Ettore Scola, gli scrittori Erri De Luca e Claudio Magris. Famosi cantanti, attrici comiche e ballerini hanno riempito gli intermezzi, alleggerendo la gravità dei temi portanti del programma; ma anche questa leggerezza diventa accettabile.
Le tre serate sono state organizzate in modo tale da poter discutere, nei monologhi di Saviano, non solo dei malanni italiani, ma anche di temi a carattere internazionale, come ad esempio «la primavera araba» o i famigerati «laogai», i campi di concentramento cinesi per la detenzione carceraria e la rieducazione, in cui vengono attualmente torturati e sfruttati dai tre ai cinque milioni di detenuti.
Di questi argomenti si è parlato nell’ultima puntata ed è stato un pugno dritto allo stomaco, portato a segno solo con le parole e l’approfondimento, con la gestualità di Saviano, con i suoi sguardi nel vuoto rivolti alla camera e i fogli stropicciati dei suoi appunti. Quando alla fine un sopravvissuto di uno di questi «laogai» si è presentato davanti al microfono, la sensazione alla bocca dello stomaco è peggiorata.
Un nuovo terrorismo
Il tema italiano dell’ultima serata non era esattamente attualissimo: i tanti morti di una fabbrica di amianto in Piemonte, il cui proprietario svizzero è stato condannato tre mesi fa in uno spettacolare processo. Ci sarebbero stati argomenti più scottanti da trattare, ma nella puntata sono stati volutamente evitati per non fomentare ulteriormente la rabbia sociale e le sue infiltrazioni nella criminalità.
Ovvero che in Italia c’è un nuovo terrorismo, che non ambisce a nient’altro che alla risonanza mediatica. Si richiama ai suoi precursori dell’estrema sinistra e ne imita le modalità piuttosto maldestre degli anni ‘70. Orribili ricordi di quei tempi si sono risvegliati il 7 maggio, quando un oscuro commando terrorista, «Federazione Anarchica Informale», «ha punito» un dirigente del gruppo industriale Ansaldo a Genova, gambizzandolo.
Un periodo torbido cominciò proprio allo stesso modo circa quarant’anni fa, minacciando l’implosione della società italiana. I principali gruppi minoritari di sinistra e i centri sociali hanno preso le distanze dall’attentato. I sindacati hanno organizzato a Genova una manifestazione contro il terrorismo, a cui però hanno stranamente partecipato pochi giovani. Stupisce invece che molti giovani abbiano partecipato a Napoli alle proteste contro Equitalia, l’azienda per la riscossione nazionale dei tributi. Anche in quest’ambito si registra una tendenza alla violenza, per ora solo sotto forma di rudimentali attentati incendiari alle agenzie di Roma e Livorno.
Il Ministro degli Interni Cancellieri vuole richiedere l’intervento l’esercito, mentre Mario Monti promette maggiore equità sociale. Il terremoto in Emilia-Romagna ha messo in ginocchio ancor più il morale del già malandato Paese. E l’attentato dinamitardo di una settimana fa a Brindisi: un macabro mistero, realizzato per conto della mafia, da uno psicopatico o da terroristi bombaroli. Saviano avrà argomenti a sufficienza da discutere anche in puntate future.