La relazione annuale della Banca d’Italia dedica un capitolo al ruolo femminile nell’economia italiana. Causa principale dell'arretratezza del nostro Paese , “la carenza dei servizi volti a conciliare vita professionale e familiare”
Un’intero capitolo della relazione annuale della Banca d’Italia dedicato alle donne e al loro ruolo nell’economia italiana. Una novità rispetto agli studi dedicati, ma pur sempre 10 pagine su un totale di 396 (scarica il pdf). Dieci pagine che raccontano quanto l’Italia presenti forti criticità rispetto alla partecipazione delle donne nella vita economica, nonostante i progressi negli ultimi decenni. Perché, “Nel 2011 il Paese continua a collocarsi tra i più arretrati nella graduatoria dell’indice Global gender gap (al 74° posto su 145 paesi; 21° posto tra quelli dell’Unione europea) – si legge nel testo di Bankitalia – penalizzato soprattutto dalla componente “partecipazione e opportunità economiche” (90° posto), mentre è più contenuto il divario in termini di “risultati scolastici” (48° posto).
Per Palazzo Koch, una è la causa principale della bassa partecipazione femminile: “La carenza dei servizi volti a conciliare vita professionale e familiare” che continua a essere “un freno alla partecipazione al mercato del lavoro nei primi anni di vita dei figli”. Perché anche all’interno della famiglia, anche tra le coppie in cui entrambi i coniugi lavorano, “i carichi domestici e di cura gravano in misura sproporzionata sulle donne”. Per questo Bankitalia sottolinea la necessità “di interventi ad ampio raggio per ridurre i divari; le epserienze sviluppate in alcuni paesi – sul piano normativo, fiscale, dei servizi – possono fornire utili indicazioni”
Eppure, una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, nelle posizioni di vertice e nelle amministrazioni porterebbe non solo “meno corruzione” perché “a una più elevata presenza di donne tra gli amministratori pubblici corrispondono livelli di corruzione più bassi e un’allocazione delle risorse orientata alla spesa sanitaria e ai servizi di cura e istruzione”. Ma anche, “un aumento del numero di famiglie con redditi da lavoro e una riduzione del rischio di povertà, con una crescita complessiva del Pil”.