Il colonnello dei carabinieri è stato sentito come indagato di reato connesso. E' accusato di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. In passato la moglie di Borsellino aveva dichiarato come suo marito le disse che il militare" fosse punciutu"
L’elenco degli indagati per la Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra nel periodo 1992 – 93 si allunga. Anche il generale dei carabinieri Antonio Subranni risulta infatti iscritto nel registro delle persone indagate nell’inchiesta della procura di Palermo. La posizione del generale Subranni è stata resa nota questa mattina durante l’udienza del processo che vede imputati davanti la quarta sezione penale di Palermo l’ex generale del Ros Mario Mori e il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995.
Il presidente della corte Mario Fontana ha infatti chiesto all’accusa se Subranni dovesse essere sentito semplicemente come teste o come persona indagata in procedimento connesso. “Attualmente – ha risposto il pm Di Matteo – Subranni è sottoposto a indagine in procedimento collegato a quello in corso”, ovvero l’inchiesta sul patto sotterraneo tra pezzi delle istituzioni e la mafia, su cui la dda palermitana indaga dal 2007. Subranni, generale dei carabinieri in pensione, si è quindi appellato alla facoltà di non rispondere, limitandosi a sintetizzare brevemente le inchieste giudiziarie in cui è stato coinvolto negli ultimi anni. A capo del Ros dal 1990 al 1993, Subranni era indagato nello stesso procedimento che ha portato alla sbarra Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano. La sua posizione fu stralciata e la procura palermitana ne richiese l’archiviazione nel 2011. Appena due settimane fa, la sua posizione era stata archiviata per decorrenza dei termini anche dalla procura di Caltanissetta, che nell’ambito della nuova inchiesta sulla strage di via d’Amelio, lo aveva indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Questa volta il reato ipotizzato per l’ex capo del Ros dagli inquirenti è quello disciplinato dall’articolo 338 del codice penale, ovvero violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato: lo stesso per cui risultano indagati nell’inchiesta sulla Trattativa anche lo stesso Mario Mori, il colonnello Giuseppe De Donno, l’ex ministro Calogero Mannino, il medico Antonino Cinà, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e i boss Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Sul capo di Subranni pesa la testimonianza che Agnese Piraino Leto, la vedova di Paolo Borsellino, aveva reso ai magistrati nisseni nel 2009. La signora Piraino Leto aveva raccontato come “il 15 luglio 1992, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto. Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu”. La vedova Borsellino, citata in precedenza come teste dall’accusa, non era potuta comparire davanti la corte per motivi di salute. Oggi il pm Nino Di Matteo ha chiesto anche l’audizione del magistrato Diego Cavaliero, amico di Paolo Borsellino. Sentito nei giorni scorsi dalla procura palermitana, Cavaliero ha raccontato che la vedova Borsellino gli fece le stesse confidenze sul conto di Subranni, già parecchi anni prima di metterle a verbale davanti ai pm di Caltanissetta.
Sempre nell’udienza di oggi è stato ascoltato in videoconferenza il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, l’ultimo pentito interrogato da Borsellino prima che il giudice venisse assassinato nella strage di via d’Amelio il 19 luglio del 1992. Mutolo ha raccontato che “durante un interrogatorio il dottor Borsellino mentre parlava con delle persone delle istituzioni nel corridoio gridò all’improvviso: questi sono dei pazzi, questi sono dei matti. Era disgustato e arrabbiato, era incazzato nero con personaggi dello Stato e delle istituzioni perché volevano offrire ai mafiosi una eventuale dissociazione. Sapeva che c’erano questi contatti in corso. C’erano persone delle istituzioni che avevano fatto capire di essere d’accordo. Ho capito che c’era un accordo tra i mafiosi che si dovevano dissociare in cambio di una specie di amnistia”.
Il collaboratore di giustizia ha anche ripercorso lo storico interrogatorio del primo luglio ’92. ” Quel giorno, durante il colloquio – ha spiegato – il dottor Borsellino ricevette una telefonata e mi disse che doveva andare al Ministero e che sarebbe tornato dopo poco. Tornato dal ministero il dottor Borsellino era turbato e nervoso: a un certo punto mi misi a ridere perché stava fumando contemporaneamente due sigarette, una la teneva in bocca e l’altra in mano. Dopo Borsellino mi raccontò di aver incontrato il dottor Bruno Contrada che gli aveva detto: dica a Mutolo che se ha bisogno di chiarimenti sono a disposizione. A quel punto ho capito che il mio interrogatorio, che doveva restare segretissimo, era in realtà il segreto di Pulcinella”. Mutolo fu il primo accusatore di Contrada, ex numero tre del Sisde, che sta scontando una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa.