La telefonata è arrivata in redazione alla fine di una giornata di lavoro: il Cda comunica che la redazione chiuderà con il 2012. E’ l’inizio della fine per Telechiara, emittente locale delle diocesi del Triveneto. I vescovi, “editori” della televisione con sede a Padova e redazioni staccate in Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, dicono che non hanno più soldi, “dispiace molto” ma la crisi c’è e si fa sentire anche per loro. Questo il succo dell’ “editto bulgaro” spedito ai dipendenti di Telechiara, 25 persone tra giornalisti, operatori, tecnici e collaboratori.
Il comunicato dei vescovi è stato diffuso solo dopo che la notizia era trapelata dagli organi di stampa. La decisione è di tagliare il finanziamento di 400mila euro annuo vitale per la piccola emittente che in 20 anni di attività aveva acquisito un largo seguito tra famiglie e anziani. Nonostante questo nella missiva dei vescovi non si intravede uno spiraglio di speranza, non c’è luce infondo al tunnel, la decisione appare irrevocabile. I dipendenti si stanno ora organizzando con il sindacato, per individuare possibili vie d’uscita con cassa integrazione o ricollocamento in altri organi di stampa delle diocesi (che nel nordest hanno diversi settimanali).
“E’ stato un grave colpo, stiamo cercando di organizzarci e chiedere nuovi incontri con il Cda per capire cosa possiamo fare”, dice la coordinatrice della redazione Paola Sartore. A stupire tutti, anche alcuni membri del Consiglio di amministrazione, sono i tempi con cui la decisione è stata presa. Che le televisioni in generale non navigassero in buone acque si sa da tempo, la raccolta pubblicitaria è diminuita per tutti e Telechiara ha sofferto ancor di più perché la sua pubblicità è chiaramente ‘selezionata’ dalla linea editoriale (che ha escluso giochi o altre produzioni non adeguate a quel pubblico). Ma che la chiusura arrivasse dall’oggi al domani è apparso strano a tutti.
Le tappe sono state ultrarapide: martedì scorso si è tenuta la Conferenza Episcopale del Triveneto, ovvero il ‘conclave’ dei vescovi-editori. La sera stessa è arrivata una telefonata al Cda, convocato per il giorno successivo. A mezzogiorno di mercoledì la decisione di ‘spegnere’ Telechiara arriva prima all’amministrazione e poi ai lavoratori. La data di chiusura è prevista per la fine dell’anno, anche se il Cda spera di continuare ancora qualche mese nel 2013. I vescovi nel comunicato scrivono che “sono venute meno alcune consistenti forme di contributo che avevano sin qui garantito la sopravvivenza della tv, si sarebbe ora reso necessario un notevole investimento quinquennale – dell’ordine di oltre un milione di euro all’anno – totalmente a carico delle singole Diocesi del Triveneto (…). Pur nella consapevolezza del valore attuale e del carattere decisivo dei media, in questi tempi di crisi non è parso più sostenibile un così ingente investimento”.
A voler essere maligni si potrebbe intravvedere qualche connessione tra la decisione di chiudere Telechiara e la nomina di monsignor Francesco Moraglia a Patriarca di Venezia. Moraglia è presidente della Fondazione Comunicazione e Cultura da cui dipende l’emittente della Cei Tv 2000 diretta da Dino Boffo. Perché mantenere viva in Veneto, Friuli e Trentino una tv locale cattolica quando c’è già un canale digitale nazionale che punta al medesimo target? Altra malignità: pare che l’editto dei Vescovi consegnato ai lavoratori di Telechiara non sia poi così bulgaro: in seno alla Cet (conferenza episcopale del triveneto) ci sarebbero delle spaccature. Guerre che si combattono sopra le teste di 25 tra tecnici e giornalisti anche molto giovani, che negli ultimi anni hanno portato idee e programmi dedicati ai giovani e alle mamme, oltre che a messe e rosari domenicali. E davanti alla notizia dei vescovi che ‘licenziano’ i loro dipendenti tornano alla memoria i mòniti dell’arcivescovo di Padova Antonio Mattiazzo (note le sue sfuriate con i giornalisti locali colpevoli di travisare e ingigantire le notizie di cronaca ndr), che si era inserito nella bagarre delle aperture domenicali dei negozi schierandosi a favore delle famiglie, della lotta al consumismo, della necessità di resistere alla crisi. Parole che ora deve rivlogere in casa propria, alle 25 famiglie di Telechiara che tra un anno non avranno più un lavoro a causa di quella crisi contro cui, diceva Mattiazzo, si doveva resistere.