Il Tribunale di Roma ha bocciato la richiesta della cassa di previdenza dei cronisti. Per i giudici l’attività svolta dal conduttore, che è collaboratore autonomo, non deve rispettare quanto stabilito dal contratto nazionale di categoria
Bruno Vespa fa il giornalista? Qualche dubbio viene, a leggere una sentenza del tribunale del lavoro di Roma. Che definisce Porta a Porta un programma in cui le prestazioni rese dal suo conduttore non sono di natura giornalistica. Vespa fa spettacolo, quindi. Non informazione. Il giudice, però, non contesta le domande accomodate a importanti ospiti seduti su bianche poltrone. Bensì la pretesa dell’Inpgi (la cassa di previdenza dei cronisti) che, a seguito di un’ispezione svolta nel 2004, aveva chiesto alla Rai i contributi pensionistici non versati per gli anni 2001-2003. Solo che l’attività svolta da Vespa in tv è “squisitamente autoriale e di conduzione”, autonoma e non subordinata, che non deve rispettare quanto stabilito dal contratto nazionale di categoria.
Nella sentenza di un anno fa, spuntata fuori in questi giorni in cui è in corso l’appello, il giudice Paolo Mormile scrive: “Nulla è emerso che convinca della natura ontologicamente giornalistica del programma ‘Porta a porta’, chiaramente appartenente al genere dei programmi di intrattenimento e approfondimento culturale e politico, realizzato come vero e proprio talk show (imperniato sulla carismatica figura di anchorman del noto conduttore) per mezzo di una scenografia, di un tema musicale e di un canovaccio tipici di un format televisivo, del tutto diverso, come tale, dai notiziari o dai servizi giornalistici in senso stretto”. Insomma, i plastici con scena del delitto illustrati con sapienza e bacchetta in mano non sono elevati al rango di vera informazione. E visto che l’Inpgi “non ha minimamente provato né la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra la Rai e il dott. Vespa oggetto di ispezione (…) né la natura giornalistica delle prestazioni rese dal dott. Vespa”, ha fatto bene il servizio pubblico a versare i contributi all’Inps e all’Enpals (Ente nazionale di previdenza e di assistenza dei lavoratori dello spettacolo), anziché all’Inpgi. Pertanto il giudice revoca un decreto ingiuntivo che era stato emesso dal tribunale nel 2007 per imporre alla tv di Stato di versare quasi 1,9 milioni di euro all’Inpgi. Secondo il giudice dopo il 2001 Vespa non è più da considerarsi un lavoratore subordinato: il suo contratto di lavoro è di tipo autonomo e la “valenza autoriale e consulenziale” della sua prestazione è provata da quanto ha testimoniato Claudio Donat Cattin, cofondatore e coordinatore di ‘Porta a porta’, che ha fatto riferimento alla “differente modalità di svolgimento della prestazione” da parte di Vespa rispetto al periodo anteriore al 2001. È solo da quell’anno che Vespa sarebbe diventato un libero professionista, in virtù anche delle sue attività autonome di conferenziere, autore di libri, collaboratore di riviste e giornali.
Ma secondo Franco Abruzzo, fino al 2007 presidente dell’ordine dei giornalisti della Lombardia per oltre 18 anni, non può esserci alcuna differenza nel lavoro di Vespa alla Rai prima e dopo il 2001, visto che la trasmissione è rimasta la stessa. E lo scorso aprile ha festeggiato le duemila puntate in 16 anni di messa in onda. “Una sentenza che sovverte solidi principi – dice Abruzzo -. Vespa è un giornalista e il suo ruolo è paragonabile a quello di un direttore responsabile. E anche se il suo lavoro non fosse di tipo subordinato, come collaboratore fisso dovrebbe versare i contributi all’Inpgi 2 (la gestione separata della cassa di previdenza per i giornalisti senza contratto da lavoro subordinato, ndr)”. Abruzzo contesta poi che ‘Porta a porta’ non venga considerata dal giudice una trasmissione giornalistica: “Fare le interviste è una chicca della nostra professione. E Vespa fa interviste a persone importanti”. Ma che cosa c’è dietro la scelta del conduttore? “Vespa ha la convenienza a fare spendere meno alla Rai, così guadagna di più lui”.