Riparte dal Veneto la scalata di Roberto Maroni per la conquista della segreteria federale della Lega Nord, ma la tappa padovana del carosello leghista potrebbe riservare una brutta sorpresa all’aspirante successore di Umberto Bossi, che rischia di essere sgambettato dal “venetismo”. 

Ieri il congresso della Lega Lombarda si è concluso con il risultato più scontato: una schiacciante vittoria del maroniano Matteo Salvini che non ha tradito le attese della vigilia e ha battuto lo sfidante bossiano Cesarino Monti per 403 voti sui 544 delegati iscritti al congresso. Oggi si gioca invece in un campo decisamente più ostico, il Veneto, dove la Liga è governata da regole più complesse di quelle lombarde. Logiche su cui, oltre alle ormai proverbiali spaccature tra bossiani e maroniani (tutt’altro che superate), pesano antipatie incrociate tra veronesi e trevigiani. Tanto che l’esito del voto potrebbe non essere favorevole al rampante barbaro guerriero Flavio Tosi, rischiando invece di veder premiato l’ex sindaco di Cittadella, Massimo Bitonci, vicino al segretario uscente Gianpaolo Gobbo, figura più che influente all’interno del partito.

Tosi è partito con il favore dei pronostici, ma sulla strada della vittoria finale si stanno ponendo diversi ostacoli. Sono in molti quelli che stanno tramando contro di lui e, anche nelle fila amiche, c’è chi teme il peggio. Secondo alcune voci scettiche raccolte tra gli stessi maroniani, il sindaco di Verona potrebbe non farcela per colpa del fattore V, il “venetismo”, ovvero l’esigenza mai sopita della Liga Veneta di mantenere una propria identità e una propria autonomia rispetto allo strapotere lombardo nella gestione del partito. Una leva identitaria molto forte, contro cui Flavio Tosi e Roberto Maroni possono fare ben poco. I veneti vogliono contare di più nel partito e temono che con Tosi alla segreteria nazionale si corra il rischio di piegarsi troppo alla linea maroniana, finendo per contare sempre meno, fino a scomparire. Altro punto che gioca a sfavore di Tosi sono alcune delle sua prese di posizione, ritenute troppo filo-italiane e quindi distanti dal credo padano doc quel tanto che basta per far storcere il naso all’elettorato leghista più radicale. La figura di Massimo Bitonci in questo senso offre maggiori garanzie. Venentista prima ancora che leghista. Da sindaco di Cittadella aveva dato abbondante prova di celodurismo approvando ordinanze anti sbandati, anti immigrati, anti tutto. Insomma, il candidato ideale per spazzare lo spettro di un maroniano troppo morbido e troppo vicino alla Lombardia. Chiaramente se Tosi non dovesse vincere per Maroni la questione si metterebbe decisamente male. Senza il controllo dei segretari non sarà facile accantonare la figura di Umberto Bossi e la strada per la segreteria federale si farebbe decisamente più tortuosa.

Una lettura del difficile momento per la Lega Nord l’ha fatta anche il governatore della Regione Veneto Luca Zaia, che nelle scorse settimane si era dichiarato indisponibile a fare da vicesegretario federale, rimarcando un certo distacco dal sindaco di Verona, che aveva lanciato la sua candidatura. “Ci sono delle spaccature, è inutile dire il contrario, stiamo a vedere cosa esce dai congressi – ha detto Zaia -. È lapalissiano che se non c’è unità il partito finisce. Fatti i congressi varrebbe la pena che tutti facessero un passo indietro per pensare ai problemi della gente, che è segno di buona amministrazione. I cittadini sono stufi di sentire parlare di segreterie politiche”. Zaia ha poi concluso usando la stessa immagine figurata utilizzata da Maroni nel suo intervento al congresso di Bergamo: “Siamo terremotati, ma a differenza degli emiliani, noi il terremoto ce lo siamo andati a cercare. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Bisogna tornare alle origini, ricambio generazionale e via le solite facce”.

 

 

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