La contemporaneità è contrassegnata da una vera e propria rivoluzione culturale, una rivoluzione ancora più profonda di quella che Platone presagiva nel Fedro a proposito dell’avvento della scrittura.
In un libro recente, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, uno dei nostri intellettuali più lucidi, Raffaele Simone, individua una delle dimensioni portanti di tale svolta radicale nel modo stesso di pensare, che contempla come sue principali conseguenze la trasformazione del testo scritto e la virtuale scomparsa della ‘autorialità’, ossia del concetto di ‘autore’.
Una rivoluzione culturale che incide profondamente negli stessi rapporti politici, costruendo di fatto una nuova forma di democrazia, la “democrazia digitale” (l’espressione è dello stesso Raffaele Simone), ossia una sorta di “movimentismo reticolare”, che ha svolto un ruolo straordinario nel successo di Barack Obama nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi e nella caduta di alcuni regimi dittatoriali arabi (Mubarak in Egitto e Gheddafi in Libia). Nel nostro contesto nazionale la conseguenza politica più rilevante sta nello straordinario successo, alle recenti amministrative, del movimento di Grillo, considerato ormai da molti sondaggi, come il secondo partito italiano, con una percentuale di consensi vicina al 20 per cento.
Il mio atteggiamento è sempre lo stesso, la contemporaneità va compresa e discussa senza essere demonizzata pregiudizialmente, la democrazia elettronica, quella digitale, vanno riconosciute per quello che sono, con i loro meriti – tra cui un nuovo impulso alla dimensione partecipativa della democrazia, senza la quale la stessa democrazia rappresentativa finisce per estinguersi – e per i suoi rischi: da ‘umanista’ come non tenere presenti le sottili disquisizioni di Ulrich, il celebre protagonista del romanzo-saggio, L’uomo senza qualità, quando in una stazione di polizia deve esibire la sua carta d’identità. Di quale identità si tratta? Qual è l’identità di ciascuno di noi nella democrazia digitale?
Perché sia ancora possibile avere una o più identità, Georg Steiner in uno dei suoi ultimi saggi, I libri che non ho scritto – “un libro mai scritto è più di un vuoto. Accompagna l’opera che si è compiuta come un’ombra fattiva, insieme ironica e dolente. È una delle vite che non abbiamo voluto vivere, uno dei viaggi che non abbiamo intrapreso” – propone nel quinto capitolo, Interrogazioni scolastiche, una riforma globale del sistema formativo a venire.
Se è ormai datata la contrapposizione cultura umanistica/cultura scientifica (Peter Snow) – dopo la svolta informatico-digitale della “terza cultura”, un paradigma che non può essere interpretato secondo i canoni regressivi pensati da Martin Heidegger per la tecnica – è necessaria la costruzione di un nuovo quadrivio formativo, incentrato su musica, matematica e scienze della vita (biologia molecolare e genetica).
Un apparente ritorno al passato, come non ricordare le antichissime relazioni tra matematica e musica e quelle tra musica e architettura, e un investimento per il futuro, le scienze della vita: confini all’interno dei quali la democrazia e la filosofia potranno continuare a esercitare la loro funzione critica e a costruire le nostre identità.