Chi fa il mio mestiere rimbalza tra conferenze stampa e convegni che, in molti casi, si rivelano deludenti. Col tempo si impara a selezionare gli incontri ai quali vale la pena partecipare e quelli che possono essere tranquillamente disertati. Il mio personalissimo sistema di selezione prevede poche regole, ma una è sempre stata fondamentale: partecipare a qualsiasi incontro in cui fosse presente Umberto Rapetto. Chiunque abbia avuto a che fare con il capo del nucleo frodi telematiche della Guardia di Finanza ne ha apprezzato la preparazione e la passione che ha sempre messo nel suo lavoro. Ascoltarlo era un piacere, poterlo intervistare un’occasione da non perdere.
Ci si aspetterebbe che un professionista con queste caratteristiche venga valorizzato offrendogli maggiori responsabilità, che sia premiato con ruoli di prestigio. Purtroppo siamo in Italia e le cose non vanno così. Quello che è arrivato in questi giorni è stato un incomprensibile (o fin troppo comprensibile) trasferimento ad altre funzioni seguito a stretto giro di posta dalle dimissioni del colonnello Rapetto.
Le reazioni sconcertate sono fioccate su Internet e (addirittura!) in Parlamento. Da Twitter è addirittura arrivato l’invito degli Anonymous, che si sono dichiarati pronti ad accogliere il “nemico” di sempre tra le loro fila. Purtroppo sappiamo benissimo come andrà a finire: la macchina burocratica del nostro paese ha sempre dimostrato di essere straordinariamente impermeabile alle richieste dell’opinione pubblica e la vicenda delle nomine Agcom basta da sola a dimostrarlo. Il bilancio dell’affaire Rapetto è piuttosto semplice da stilare: le forze dell’ordine, il governo e l’Italia tutta ne escono ancora una volta impoverite, mentre qualche società privata avrà la possibilità di mettere nei suoi ranghi un fuoriclasse.
E mentre i ministri del nostro governo Monti sproloquiano di meritocrazia, lotta all’evasione fiscale e legalità, la macchina dello stato continua a sperperare risorse umane e offrire ancora una volta la dimostrazione di quanto gli interessi opachi di dirigenti e centri di potere siano più forti dell’interesse collettivo.