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Patagonia 1942, il mondiale fantasma

Per cogliere la distanza che separa i tifosi dal calcio di oggi, basta andare al cinema. Le sale gremite de il Mundial Dimenticato stridono col progressivo svuotamento degli stadi, le polemiche sugli Europei e gli ultimi scandali di Calcio Gomorra.

Così se il football dei poteri forti smarrisce (inevitabilmente) credibilità e funzione maieutica, il mito del Calcio Antico sopperisce e colma il vuoto, dispensando visionarismo sociale e storie leggendarie per aficionados in crisi d’identità. E’ il caso del mockumentary creativo, cioè del falso documentario di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni. Tra fiction e verità, racconta gli incredibili e sconosciuti Mondiali della Seconda Guerra, (mai) giocati in Patagonia nel 1942 e perciò disconosciuti dalla FIFA.

L’operazione sbarca agli ultimi Festival del Cinema di Venezia e Cannes, sarà all’International di Shanghai. Nasce dalla citazione di un libro di Osvaldo Soriano e da una campagna virale promossa su internet da Katsuro Matsuda, fantomatico concorrente televisivo giapponese, escluso da un quiz per aver risposto che i mondiali del 1942 si sono giocati in Patagonia”. Nessuno li conosce, nessuno ne sa nulla e non se ne trova traccia (preistorica) nemmeno tra Cile e Argentina. Perché quei mondiali, quando l’Europa sanguinava sotto le bombe, non si sono mai disputati. Ma il mondo del pallone, affascinato dall’assurda narrazione tra intreccio e mistero, mangia la foglia e sta al gioco, gongolando sugli allori perduti.

Josè Altafini, Gigi Buffon, Darwin Pastorin, Fabio Caressa, Roberto Baggio e Jorge Valdano accreditano i fantasmi di zone d’ombra del calcio d’ultima età bellica. La (finta) storia piace, crea adepti tra addetti ai lavori e veri protagonisti di presente e passato. E così, la provocazione di assegnare i (veri) Mondiali del 2026 alla Patagonia, parte dalla straordinaria illusione che gli indigeni Mapuche possano aver (davvero) conteso l’ambita Coppa Rimet ai temibili centravanti nazisti, ai centrocampisti azzurri littori e alla straripante Inghilterra mista Football Association, ai tempi in cui l’arbitro – invece del fischietto – comunicava con calciatori e pubblico a colpi di pistola.

Il Mundial Dimenticato – spiega il regista Filippo Macelloni – ci ha aiutato a prendere un pò in giro questo folle mondo del calcio e il mercato cinematografico, ma allo stesso tempo a far riflettere lo spettatore su questo sport definito nazionale”.  Ne avvertivamo il bisogno: riflettere, fantasticando sul senso di calcio e nazione, non fa mai male. Nemmeno al cinema.