Comincia male il mandato del neopresidente. Oltre alle dichiarazioni sul massacro della città bosniaca ha messo in fila incidenti diplomatici con Croazia, Montenegro e Kosovo e allontana il Paese dall'Europa. Un anno fa aveva detto: "Meglio provincia della Russia che parte dell'Ue"
Comincia molto male, anzi malissimo, il suo mandato di presidente della Serbia Tomislav Nikolic, eletto non senza una certa sorpresa al secondo turno delle presidenziali, poche settimane fa. Alla cerimonia di inaugurazione della sua presidenza, prevista a Belgrado per il prossimo 11 giugno, non ci sarà infatti il presidente croato Ivo Josipovic, che in questo modo protesterà contro le dichiarazioni che Nikolic ha rilasciato negli ultimi giorni e che hanno immediatamente fatto correre un brivido di gelo nelle cancellerie di mezza Europa.
Il neopresidente serbo, infatti, pochi giorni prima delle elezioni aveva detto in una intervista al giornale tedesco Frankfurter Allgemeine che Vukovar – la città oggi in Croazia al confine con la regione serba della Vojvodina – è una «città serba». Nel 1991, l’allora esercito jugoslavo assieme alle milizie serbocroate assediò Vukovar per quasi tre mesi, costringendo alla fuga la popolazione croata, contro la quale ci furono anche molti episodi di pulizia etnica. La Croazia “riprese” la città solo nel 1998 e le ferite sono ancora aperte.
Quella su Vukovar non è l’unica “gaffe” di Nikolic che in pochi giorni è riuscito a far irritare tutti i vicini della Serbia. In una intervista alla tv del Montenegro, per esempio, il neopresidente ha detto di «riconoscere il Montenegro come Stato, ma non la differenza tra serbi e montenegrini, che non esiste». Per quanto fondato “antropologicamente” possa essere il suo giudizio, il senso di opportunità è stato del tutto assente. Molto di peggio Nikolic è riuscito a fare nei riguardi della Bosnia. Proprio a pochi giorni dall’inizio del processo contro Ratko Mladic, nella corte del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia all’Aja, Nikolic è riuscito a dire che a Srebrenica – 8mila uomini musulmani bosniaci uccisi dalle milizie di Mladic nel 1995 – non ci fu genocidio, ma «gravi crimini di guerra, per i quali i responsabili dovrebbero essere perseguiti e puniti». Per la Corte penale dell’Aja, invece, il massacro di Srebrenica è ufficialmente “genocidio” dal 2004 e infatti il genocidio rientra tra le accuse di cui deve rispondere Mladic.
Per finire, nella stessa intervista alla tv montenegrina, Nikolic è anche tornato sulla questione Kosovo, dicendo che il suo governo non riconoscerà mai il Kosovo indipendente, anche a costo di non far entrare la Serbia nell’Unione europea. Con poche parole, il neopresidente serbo ha così messo a rischio anni di faticoso lavorio diplomatico compiuto dal suo predecessore Boris Tadic, culminato con la concessione alla Serbia dello status di candidato all’ingresso nell’Ue. Se a Tadic e al suo Partito democratico l’apertura di credito dell’Ue non è bastata a conquistare un altro mandato – troppo gravi le difficoltà economiche della Serbia, oltre agli errori tattici di Tadic – le prime dichiarazioni di Nikolic rischiano di aggravare la situazione.
Appena pochi giorni fa, infatti, nel nord del Kosovo, la zona dove è concentrata la parte più consistente della comunità serba, ci sono stati nuovi scontri tra i serbi e i militari della Nato. Di nuovo, come nella scorsa estate, a far saltare il tappo della tensione è stato il tentativo della Nato di rendere “effettivo” il confine internazionale del Kosovo, rimuovendo i blocchi stradali che i serbi a nord del fiume Ibar hanno eretto sulle strade principali per tagliare i collegamenti con il sud controllato da Pristina. Due militari tedeschi e tre civili serbi sono rimasti feriti negli scontri, scoppiati a Zvecan, uno dei quattro municipi serbi, quando i soldati Nato hanno cercato di rimuovere il blocco stradale.
In questi primi giorni di mandato, Nikolic sta confermando quelli che erano i timori della vigilia elettorale. E cioè che il suo governo avrebbe potuto segnare il ritorno di toni nazionalistici e prese di posizione – per quanto a volte solo retoriche – in contrasto con il cammino verso Bruxelles che la Serbia ha accelerato negli ultimi anni. Nel suo discorso della vittoria, Nikolic aveva assicurato che Belgrado «non avrebbe perso di vista il sentiero europeo», ma nello stesso tempo non avrebbe abbandonato il Kosovo. Nikolic, già vice primo ministro ai tempi di Slobodan Milosevic, tra il 1998 e il 1999, conosciuto anche con il soprannome di “Becchino” perché gestiva un piccolo cimitero locale, e famoso per la sua passione per la produzione artigianale di grappa, non è nuovo a “sparate” retoriche. Famosa rimase la sua frase di qualche anno fa: «La Serbia starebbe meglio come provincia russa che come parte dell’Ue».
Se vuole convincere i paesi vicini e i principali partner economici della Serbia (la Germania e l’Italia, oltre la Russia) che davvero le sue idee rispetto all’Unione sono cambiate, il nuovo presidente dovrà stare più attento a quello che dice e a come lo dice. Ci sono quattro anni di mandato per imparare. A giudicare dalle prime uscite, la strada è davvero lunga.
di Joseph Zarlingo