L'esecutivo pensa di "blindare" la parte penale, mentre in aula passa l'articolo sulla tutela dei dipendenti pubblici che svelano il malaffare. Accantonata la norma sulla incandidabilità dei condannati in Parlamento, il ministro della Giustizia ha riformulato l'emendamento sul collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari che non potrà essere superiore ai cinque anni
Sciolto il nodo dell’incompatibilità per i ruoli ricoperti nella Pubblica Amministrazione, accantonata l’incandidabilità dei condannati in Parlamento, il governo, che sulla questione arbitrati si rimette all’Aula, potrebbe nel Consiglio dei ministri straordinario, fissato per le 18.30, essere “autorizzato” a porre la fiducia sul ddl corruzione, da oggi in votazione in aula, dove è stato approvato tra gli altri l’articolo 5 sulla tutela dei dipendenti che denunciano episodi di malaffare.
Una fiducia selettiva, però, perché riguarderebbe soltanto la parte cosiddetta penale ovvero le pene per la corruzione, il tema della concussione e il reato di traffico di influenze. Sulla parte civile invece potrebbe essere presentato un maxi emendamento. Se tutto dovesse filare liscio già venerdì potrebbe arrivare il voto, altrimenti si slitterebbe alla prossima settimana con in programma anche la questione falso in bilancio. “Penso di sì, che si chiuda in settimana” dice il ministro della Giustizia Paola Severino. Oggi è una giornata importante anche per un altro tema legato alla giustizia, la responsabilità civile dei magistrati, rispetto alla quale il ministro della Giustizia Paola Severino ha presentato un emendamento in Senato.
L’aula della Camera ha deciso inoltre di accantonare l’articolo 10 del ddl anticorruzione, quello che dà la delega al governo di adottare un testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo se si è stati condannati con sentenza passata in giudicato per delitti non colposi. La discussione è stata accompagnata da polemiche bipartisan contro il ministro Severino, che non ha voluto formulare i pareri del governo sul ddl nei comitati ristretti delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera. “I pareri sono pronti”, ha comunque assicurato il ministro.
Il dipendente pubblico che denuncia o riferisce condotte illegali, recita l’articolo approvato alla Camera, “non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”. La norma prevede inoltre che “l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, fino alla contestazione dell’addebito disciplinare”. Il via libera a un emendamento del Pdl, presentato da Francesco Paolo Sisto, ha fatto sì che la misura prevedesse anche sanzioni per il dipendente pubblico che calunnia o diffama i propri colleghi o superiori. Il dipendente inquestione rischia non solo sanzioni fino al licenziamento, ma dovrà anche risarcire di tasca propria gli illeciti segnalati che si dimostreranno infondati.
Via libera anche all’articolo 11, che interviene sull’articolo 59 del Testo unico enti locali, prevedendo la sospensione di diritto da una serie di cariche elettive (presidente della Provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale) delle persone per cui l’autorità giudiziaria ha applicato la misura coercitiva del divieto di dimora, quando quest’ultima coincida con la sede dove si svolge il mandato elettorale.
Incompatibilità P.A. L’accordo sulla norma è stato raggiunto nei comitati ristretti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera che introduceva il divieto, per tre anni, di arrivare ai vertici della P.A. per gli ex politici e i candidati. Nella riunione con il ministro Filippo Patron Griffi, si è arrivati a stabilire che l’incompatibilità vale solo per gli eletti e lo stop durerà un anno. Quindi se si è già ricoperto un ruolo elettivo si potrà tornare a svolgere un incarico direttivo dopo un anno e non nella stessa istituzione. In più, non basterà essere stato candidato ai fini della sospensione. Particolarmente soddisfatto il Pd per la soluzione raggiunta soprattutto sulla questione delle incompatibilità. Grazie all’accordo perfezionato questa mattina uno che è stato assessore al Comune di Roma, tanto per fare un esempio, potrà ricoprire un ruolo dirigenziale in un altro Comune o in un’altra amministrazione solo dopo un anno. Il ministro ha riscritto la norma: “Non potranno essere conferiti incarichi dirigenziali a coloro che per un congruo periodo di tempo, non inferiore a un anno, antecedente al conferimento” abbiamo svolto incarichi o ricoperto cariche “in enti di diritto privato sottoposti a controllo o a contribuzione economica da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico”.
Arbitrato. La relatrice del Pdl Jole Santelli ha presentato in Comitato dei 18 una riformulazione dell’emendamento ritirato dal Pd e fatto proprio dall’Italia dei Valori sul divieto per la pubblica amministrazione di ricorrere agli arbitrati. La nuova formulazione prevede la possibilità per la P.A. di farvi ricorso ma con una serie di paletti. Sul punto, però, non si è ancora giunti a un’intesa e sull’emendamento si stanno valutando nuove modifiche. Sul testo Santellì c’è per esempio la contrarietà dell’Italia dei Valori, la Lega ha fatto sapere che si asterrebbe e il Pdl chiede alcune limature mentre gli altri gruppi sarebbero d’accordo. Così a questo punto il ministro Patroni Griffi dice: “Sulla questione degli arbitrati mi rimetto all’Aula. So che è stata raggiunta un’intesa sui principi ma so che il tema è stato accantonato in attesa di una riscrittura”. La norma prevede la possibilità di ricorrere all’arbitrato nelle controversie relative a concessioni ed appalti pubblici, solo con autorizzazione motivata da parte dell’Organo di governo dell’amministrazione coinvolta. La nomina degli arbitri per risolvere le controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione, dovrà avvenire nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione. Se la controversia si svolgerà tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri dovranno essere individuati “esclusivamente tra dirigenti dello Stato”. Se invece la controversia sarà tra una pubblica amministrazione e un privato l’arbitro, individuato dalla pubblica amministrazione dovrà essere scelto “preferibilmente” tra i dirigenti dello Stato oppure tra gli altri soggetti che di solito vengono chiamati, come tecnici, a dare consulenze o pareri per gli arbitrati. Nella maggioranza che starebbe discutendo ora sul termine “preferibilmente” e sull’eventuale compenso da dare ai dirigenti coinvolti nell’arbitrato. “Noi eravamo d’accordo con la versione dell’emendamento messa a punto dalla relatrice Jole Santelli (Pdl) – dichiara Oriano Giovanelli (Pd) – ma poi al’interno del Pdl sono emerse altre due posizioni diverse e dunque stanno discutendo loro il da farsi. E’ difficile – sottolinea – fare delle leggi quando mancano gli interlocutori. L’importante per noi, comunque, è che ci sarà un emendamento della commissione da affiancare a quello che ci è stato scippato dal Idv”.
Incandidabilità dei condannati. Intanto è stata accantonata la norma, proposta dall’Udc, che prevede l’incandidabilità dei condannati con sentenza definitiva, in Parlamento. Il partito di Ferdinando Casini protesta: “Non vorrei che fosse una ‘ammuina’, una scusa, un freno, per eludere un punto fondamentale – osserva Pierluigi Mantini – è scontato che lo ripresenteremo in aula, sfidiamo le forze politiche ad assumersi le proprie responsabilità attraverso il voto. E’ molto grave questo accantonamento”.
Magistrati fuori ruolo. Intanto il ministro Severino ha riformulato il cosiddetto emendamento “Giachetti” sul collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e degli avvocati e procuratori dello Stato che “non può durare più di cinque anni consecutivi”. La norma, però, entrerà in vigore “dopo due anni dalla data di entrata in vigore” del ddl anticorruzione. ”I magistrati ordinari,amministrativi, contabili e militari e gli avvocati e procuratori dello Stato – si legge – non possono in nessun caso essere collocati fuori ruolo o in ogni altra analoga posizione comunque denominata, per un tempo che, nell’arco del loro servizio, superi complessivamente i cinque anni”. Gli stessi, che non sono stati ricollocati in ruolo, “non possono essere nuovamente collocati fuori ruolo se non hanno esercitato continuativamente ed effettivamente le proprie funzioni per almeno cinque anni”. Queste posizioni, in ogni caso, non potranno determinare “alcun pregiudizio relativo al posizionamento nei ruoli di appartenenza”. Il personale collocato fuori ruolo manterrà “esclusivamente il trattamento economico fondamentale per l’amministrazione di appartenenza compresa l’indennità”. Queste disposizioni non si applicheranno a chi assumerà cariche elettive o a chi rivolgerà il proprio mandato verso gli organi di autogoverno “dei rispettivi ordinamenti”. Ne potranno valere per chi andrà a ricoprire un incarico di componente degli organi di giustizia internazionale o in autorità amministrative indipendenti. Saranno fuori da questi limiti anche coloro che andranno ad occuparsi di “incarichi apicali individuati dai rispettivi ordinamenti interni svolti presso gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”, oppure chi svolgerà incarichi apicali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri o dei singoli ministeri. Tradotto: non avranno il vincolo di durata per il collocamento fuori ruolo né i magistrati che lavorano presso le Camere e il Quirinale, né quelli che prestano servizio presso la Presidenza del Consiglio o i vertici degli enti locali.
Dipendente pubblico che diffama. Rischia sanzioni fino al licenziamento il dipendente pubblico che calunnia o diffama i propri colleghi o superiori. L’emendamento targato Pdl al ddl anticorruzione si oppone e andrebbe a modificare l’articolo del provvedimento che introduce tutele per i dipendenti pubblici che segnalano illeciti. “Ma è giusto – spiega il capogruppo Pdl in Commissione Giustizia Francesco Paolo Sisto, lasciando il comitato dei diciotto – prevedere, anche in sede civile, sanzioni per i casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione”. Sisto è lo stesso deputato che ha riproposto l’emendamento sulla concussione, contestabile ai soli fini patrimoniali, che cancellerebbe in caso di approvazione il processo Ruby in cui l’es presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è imputato proprio per concussione e per prostituzione minorile.
La Lega invece protesta perché il governo no ha dato il parere alla commissione ristretta. Nessun atteggiamento “dilatorio o pilatesco” da parte del governo replica la Severino. “Il governo darà i suoi pareri, non c’è nessun rallentamento. Stiamo scendendo in aula e siamo pronti a darli”. Ai giornalisti che sottolineano l’abbandono del Carroccio dei lavori risponde: “Siamo usciti tutti insieme”.