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Vinicio Capossela e la santa iconoclastia

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Roberto de Mattei, vicepresidente del Cnel, in un’intervista che fece scandalo, disse che i terremoti sono “una voce terribile ma paterna della volontà di Dio”. Questa riflessione parossistica non è figlia di una sola mente malata ma esprime una sotterranea comunità di pensiero cattolico che ha anche esponenti molto autorevoli ma più prudenti. Seguendo questo ragionamento si dovrebbe dire che Don Ivan, deceduto per salvare la statua della Madonna parrocchiale dall’ultimo sisma, è morto per volontà divina. Purtroppo è stata solo una tremenda manifestazione di umana imprudenza.

Il desiderio di vedere segni e provvidenze ha portato Don Ivan a ritenere più importante spendere la vita per un simulacro di coccio piuttosto che conservarla per aiutare le persone cui aveva dedicato tutto se stesso. O meglio per lui le due intenzioni coincidevano perfettamente visto che per i suoi stessi parrocchiani quella statua era oggetto di imprescindibile devozione.

La luminosa intuizione di Capossela che assegna invece alla sua “Madonna delle conchiglie” sorta dal mare misterioso, origine teneramente umana, sembra averla avuta un altro parroco, a Fivizzano in Toscana. Un anno fa distrusse a martellate in una notte tutti gli arredi sacri della sua parrocchia annunciando l’apocalisse. Quasi volesse mostrare l’anima di quei paramenti che gli levavano vista e fiato sull’assoluto.

Di giudizi universali ne abbiamo visti, aspettati, a volte desiderati tanti. Ma neanche stavolta è il momento giusto, tempo solamente di sostituire i simboli. Perchè i “simboli” (come ci racconta l’etimologia) devono unire realtà. In questo caso quella materiale con il senso ultimo della vita. Devono esorcizzare “la stessa paura di sempre”, come dice Vinicio nel suo viaggio musicale, che è la più semplice di tutte: “Di essere nati e dovere andare\ Nati e poi non essere più niente\ Eppure la madonna delle conchiglie\ un serafino con gli occhi di biglie”.

Questo Pantheon di terracotta non parla più alla maggior parte dei credenti che infatti non frequentano più le chiese popolate di fantasmini smaltati. Come sul corpo e la fisicità la Chiesa ha un’antropologia deviata così è insignificante sulle immagini. Ripropone gli stessi cristi, anche se magari in salsa moderna, come sta cercando di fare Monsignor Ravasi: ricollegarsi al contemporaneo saltando la secolarizzazione.

Un nuovo arduo alfabeto iconografico tutto da immaginare che ha ancora pochissimi caratteri. Qualche lettera la propongono gli illustratori che hanno ritratto Dio nel progetto A4God. In questa prova si sono cimentati anche autori illustri come Fior, Giacon, Nanni, oltre a disegnatori meno “a la page” ma più innovativi come Tso o Elzevira. Interessante anche l’idea di diffondere l’opera solo su Internet e di inscatolarla come un cofanetto di contemporanee incisioni, quasi a sottolineare una ambizione da neo-iconografia. Tentativi affascinanti, inquietanti, paradossali di dare un volto a questa idea che affligge e consola da sempre. E che resisterà ancora nonostante tutti gli sforzi del Vaticano.

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