“Un’attività di gravissimo e sistematico saccheggio effettuato nell’arco di appena cinque anni (dal 2007 al 2011, ndr)”. Così il tribunale di Roma ha motivato il provvedimento con il quale ha confermato l’arresto di Luigi Lusi, che intanto si trova ai domiciliari, perché “escluse le voci di spesa a carattere distrattivo attribuibili all’azione dei componenti dell’associazione per delinquere”, sulle rimanenti voci legate ai conti della Margherita “sono in corso ulteriori accertamenti”. Ora toccherà alla Giunta delle immunità del Senato giudicare se sul caso esiste un “fumus persecutionis”, come alcuni giorni fa il Parlamento ha deciso sul caso di Sergio De Gregorio

Il senatore viene definito “soggetto dalla totale impermeabilità al rispetto dei valori del vivere civile”. L’ingente provvista di denaro sottratta, avrebbe messo al sicuro il futuro proprio e quello dei suoi associati. Chi lo avesse aiutato avrebbe potuto contare su di lui, sia che fosse riuscito a “restare in sella”, sostengono i giudici, nell’agone politico, sia che ne fosse uscito, mantenendo pur sempre una forte posizione economica. Un passo del provvedimento del Riesame è dedicato anche al cosiddetto “depistaggio mediatico” attribuito a Lusi dai magistrati della procura. Per loro l’indagato “non ha mai chiarito chi nella Margherita gli avrebbe dato l’ordine di saccheggiare i fondi del partito“. Il problema è che Lusi non ha mai fatto un solo esempio concreto, quali fossero le azioni illecite, definite dall’ex tesoriere “mignottate” che aveva visto e poi coperto al punto da distruggere ogni prova. Tale comportamento per gli inquirenti risponde a una precisa volontà di inquinamento nei confronti dei testimoni a suo carico, per lo più persone legate al partito, vuoi perché politici vuoi perché lavoratori dipendenti dello stesso partito.

Riferendosi ai soldi della Margherita e, in particolare, agli iniziali 88 milioni di euro (alla data del primo gennaio 2007), il tribunale del riesame ricorda come alla data del 31 dicembre 2011: “Non fossero più presenti nelle casse del partito benché il partito non sia più attivo”. Nel documento del riesame, in particolare, è indicato il prospetto di spese con la ripartizione delle varie voci che giustificherebbero in questi anni l’utilizzo degli 88 milioni: “Due milioni e mezzo – si legge – sono in assegni liberi non tracciati; 10 milioni in assegni liberi tracciati; 13 milioni e 580mila in bonifici in favore della società TTT; 7 milioni e 666mila in spese di attività politica ripartite in 60%-40%, (secondo quanto spiegato ai pm dalla segretaria di Lusi Francesca Fiore, ndr); un milione e 600mila in spese in contanti e 52milioni e 918mila (pari al 59,99% del totale) indicati sotto la voce altre spese generali”.

L’ex segretario degli scout cattolici italiani è indagato per l’appropriazione indebita di oltre 23 milioni di euro, ma per i magistrati, lui: “Non era competente in materia di contabilità e bilancio, da solo non avrebbe mai potuto nè alterare il rendiconto nè ideare il sistema di triangolazione societaria”. Quindi a permettere che il reato venisse consumato, sostengono gli inquirenti, sono stati i commercialisti Mario Montecchia e Giovanni Sebastio che hanno offerto: “Le specifiche competenze tecniche al fine di spalmare su ben 22 voci diverse e mendaci i prelievi effettuati”. Il riesame ha confermato la misura dei domiciliari applicati a due commercialisti con l’obbligo di firma quotidiano alla polizia giudiziaria perché: “Pur condividendo la spregiudicatezza di Lusi, non hanno condiviso il suo dispendiosissimo tenore di vita”. Per quanto riguarda Montecchia i giudici sostengono che “Sapeva perfettamente di collaborare a un reato (associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, ndr), posto che egli vedeva benissimo ciò che accadeva ma è stato proprio lui a suggerire a Lusi il metodo per non far trasparire l’azione di sistematico saccheggio dei conti della Margherita”. Quanto a Sebastio, non si doleva della falsificazione del rendiconto, necessario per non consentire al collegio dei revisori di effettuare rilievi di sorta, ma del fatto che Lusi pretendeva di “far sparire” voci e somme o di attribuirle a capitoli “impossibili”, dove invece entrambi i professionisti sapevano ben sapientemente intervenire. In effetti, dicono i magistrati intervenivano, per ottenere, quale risultato finale, di non far figurare un aumento di spese in una sola delle “grandi voci” di bilancio, ma di “spalmarla” appunto su tutte le grandi voci, così che nessuno cogliesse l’anomalia.

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