Nell'ultimo decreto del governo non viene specificato su chi devono ricadere le spese delle abitazioni distrutte e pericolanti, quindi rimane in vigore la norma precedente che le fa ricadere sui terremotati sia per abbattere la casa che rimuovere le macerie
Spese che, soprattutto se si tratta di condomini, sarebbero ingenti e graverebbero su collettività già devastate da un terremoto che in pochi giorni ha messo in ginocchio una delle regioni più produttive d’Italia, danneggiando al contempo il tessuto economico e industriale, il settore agricolo, con 14.000 aziende coinvolte, e quello abitativo.
“Come Comune per il momento siamo potuti intervenire solo in quelle situazioni in cui i crolli bloccavano le strade o mettevano a rischio l’incolumità della popolazione – ha aggiunto Draghetti – ma stiamo cercando di capire cosa si può fare per quegli altri casi in cui la demolizione è necessaria ma è di competenza del cittadino”.
“Sarebbe una situazione assurda e paradossale – sottolinea Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, che nei prossimi giorni presenterà un’interrogazione alla Giunta della Regione Emilia Romagna in merito – che sia la Regione, anche attraverso risorse statali, a farsi carico delle spese”.
Inoltre, se anche la popolazione terremotata decidesse di pagare di tasca propria per demolire quel che resta delle proprie abitazioni o aziende, sorgerebbe comunque un altro problema: mancano le ruspe. Lorena, dipendente comunale e soprattutto abitante di Cavezzo, racconta che le arrivano sempre più richieste di intervento per rimuovere ruderi o pezzi di fabbricati rimasti pendenti, ma “non ci sono i mezzi per farlo”. Quelli in dotazione infatti, si occupano di intervenire sulle situazioni più urgenti, “senza considerare l’effetto domino”. Un pericolo, spiegano dal Comune, che “alla prossima scossa di terremoto potrebbe risolversi in nuovi crolli”.
“Ci sono casi – spiega Lorena – in cui un edificio pericolante è adiacente a uno agibile e qualora la terra tremasse di nuovo, il crollo del primo potrebbe coinvolgere il secondo. Quel che resta del muro portante dell’abitazione del mio vicino, ad esempio, è attaccato alla mia casa attraverso i fili elettrici. Se non lo demoliamo in fretta, alla prossima scossa, se viene giù lui, vengo giù anch’io”. Sono, così le definiscono in città, “le conseguenze non immediate” del terremoto. Ma le ruspe per ora, non sono disponibili. E, come da norma, le spese di questa operazione, in ogni caso, spetterebbero al vicino.
Per intervenire sulla rimozione delle macerie, che comprendono cavi elettrici, tubi del gas e dell’acqua, sarebbe necessario potenziare la capacità d’intervento speciale dei vigili del fuoco, che confermano: “per il comune di Cavezzo, abbiamo solo un’autoscala a disposizione”. A fronte di 2000 segnalazioni di edifici lesionati, dice il sindaco. E il calcolo non è finito: l’amministrazione cittadina, infatti, sta ancora cercando di capire, attraverso un censimento rallentato dalle continue scosse di terremoto, cosa si può salvare in città, “cosa può essere messo in sicurezza”. Ma “poter intervenire sugli edifici precari diventerebbe una sorta di prevenzione – spiegano i vigili del fuoco – così da scongiurare ulteriori (e prevedibili) crolli”. Evitando i conseguenti costi da pagare. Ancora non si sa da chi.
La popolazione resta quindi in attesa di ricevere ulteriori conferme, ma l’esasperazione per nuove spese all’orizzonte è concreta. Ormai, dicono gli abitanti di Cavezzo, “per quanto riguarda ciò che è pericolante, si è arrivati a sperare che crolli tutto definitivamente”.
di Annalisa Dall’Oca e Ilaria Giupponi