L’esperienza della Saati Spa, multinazionale del tessile che opera nel Comasco, dimostra che a volte conviene assumere operai specializzati rispetto a un giovane. "Sul mercato ci sono molti lavoratori con esperienza rimasti a casa, da noi sono operativi in settimane mentre per chi è alle prime armi ci vorrebbero anni"
Assumere operai cinquantenni in tempo di crisi. Sembra fantascienza, ma l’esperienza della Saati Spa, multinazionale del tessile che opera nel Comasco, dimostra che è possibile, nonostante le difficoltà economiche del periodo.
L’azienda, per far fronte alle esigenze del mercato globale (la Saati esporta il 90% della propria produzione) che impone produzioni senza interruzioni estive, si trova quest’anno nella condizione di dover aumentare il proprio organico nel reparto telai. Invece di alimentare il mare del precariato con nuove incertezze, la dirigenza ha preferito cercare i nuovi operai tra il mare di disoccupati. Operai che nell’arco della loro carriera professionale hanno accumulato notevoli esperienze e che hanno ancora voglia di mettersi in gioco, avendo davanti una prospettiva di ancora dieci, quindici o vent’anni di attività.
Il responsabile delle risorse umane della Saati Spa, Mario Porcelli, ha spiegato la logica che sta dietro a questa scelta inusuale per il periodo: “In questo territorio sono molte le aziende del settore tessile che hanno dovuto chiudere i battenti per colpa della crisi, così ci sono diversi operai anche con un elevato livello di specializzazione che sono rimasti senza lavoro. Trovandoci noi nell’esigenza di dover assumere abbiamo deciso di puntare su personale non più giovane”. Una scelta che evidentemente non è stata mossa da intenti filantropici, ma dal fatto che l’azienda ha visto un potenziale ritorno positivo: “Ci siamo domandati, se nel nostro settore oggi non valesse la pena di sfruttare l’opportunità rappresentata dalla disponibilità sul mercato di molte persone che hanno magari 50, 45 anni o anche di più, ma con ancora molte energie, molta voglia di fare e delle competenze notevoli. Tutti fattori che valutiamo molto positivamente, anche perché questi lavoratori hanno tempi di inserimento molto più brevi di un giovane. Parliamo di qualche settimana per un operaio formato contro anche due o tre anni di uno alla prima esperienza. Quindi stiamo percorrendo questa strada, soprattutto per alcuni tipi di produzione, e devo dire che i risultati sono positivi”.
La Saati Spa dimostra anche solidità. In un tempo in cui le aziende manifatturiere scelgono di delocalizzare o, in maniera ancor più drastica, di chiudere i battenti, questa va in controtendenza. Infatti è una delle poche industrie tessili (uno dei settori che per primi sono stati colpiti dalla concorrenza asiatica) che riesca a macinare fatturati in grado di sostenere tre stabilimenti in Italia (tutti tra il comasco e l’alto milanese) con circa 300 dipendenti nel proprio organico (mentre sono 800 quelli assunti a livello mondiale). “Noi facciamo un tessile tecnico particolare, non prodotti per l’abbigliamento, si tratta di un prodotto destinato ad applicazioni industriali – spiega ancora Porcelli -. Si sta in piedi puntando molto sull’innovazione. Attualmente investiamo circa un punto e mezzo del nostro fatturato nell’innovazione e in futuro sappiamo di dover aumentare. Poi bisogna aprirsi ai mercati esteri, non limitarsi a guardare nel proprio cortile, bisogna avere un orizzonte più ampio: oggi in Saati lavorano persone di 10 nazionalità diverse, bisogna imparare anche a gestire queste diversità sapendone cogliere l’aspetto positivo”.
Poi il dirigente della multinazionale chiosa: “Capisco la difficoltà del momento, ma sono convinto che se si ha un po’ di entusiasmo e di capacità di lavorare fuori dal proprio orticello, fuori dal proprio piccolo ambito e ci si apre ad orizzonti più ampi anche a livello internazionale, accettandone le sfide, c’è la possibilità di difendere i posti di lavoro e forse anche di crearne qualcuno in più”.