Sono arrivati da tutta Italia per la marcia dell’orgoglio gay. E che si tratti di orgoglio (e di diritti da rivendicare) lo testimoniano i manifesti che hanno tappezzato Bologna, città scelta quest’anno per una manifestazione, il Gay Pride, che ritorna sotto le Due Torri dopo l’edizione del 2008. Rosa Parks che si rifiuta di lasciare il posto sull’autobus a un bianco, le donne italiane che nel 1977 scendono in piazza per l’autodeterminazione, le manifestazioni di gay, lesbiche e transessuali per rivendicare i propri diritti a fine anni 60. E ancora, una storia sopratutto bolognese ma che ormai è diventata patrimonio nazionale, il movimento lgbt che ottiene, prima volta in Italia, una sede comunale. E’ il 1982, al governo di Bologna ci sono i comunisti e i gay erano ancora costretti tra invisibilità e discriminazioni. Poi, nel 1995, arriva l’elezione in consiglio comunale di Marcella Di Folco, prima transessuale al mondo ad essere eletta ad una carica pubblica.
Tutti simboli dell’orgoglio gay che questa volta chiede due cose molto semplici: una legge che permetta il matrimonio civile anche tra persone lgbt, e cioè lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Poi, a partire dal fatto che essere genitori è una scelta e che sono almeno 100mila i bambini che vivono in famiglie omogenitoriali, una legge che permetta alle coppie gay di adottare. In una parola: “parità”. Per ottenerla e rivendicarla hanno sfilato in duecentomila per le vie del centro di Bologna. Una manifestazione quest’anno con un percorso ridotto e senza i soliti carri, per rispetto delle vittime del sisma che ha colpito l’Emilia. Un corteo composto ma comunque festoso, con bande musicali e perfomance artistiche. Ad aprire la parata uno striscione con la scritta: “Tutto comincia con l’orgoglio”. Dietro le bandiere di Arcigay, Arcilesbica, Famiglie Arcobaleno, Agedo e tutte le altre associazioni che ogni giorni in Italia si battono per i diritti gay. Nel corteo anche molto coppie omosessuali con bambini. “Anche noi siamo famiglia, il Parlamento ora si deve muovere”, chiede una mamma col pancione accanto alla propria compagna.
Dopo oltre tre ore di marcia l’arrivo in una Piazza Maggiore che pian piano si riempie totalmente. Sul palco Emiliano Zaino, presidente del circolo Arcigay “il Cassero” chiede ai politici vicini alla causa lgbt di “tenere solamente la schiena dritta”. A due passi da lui parlando con i cronisti Vladimir Luxuria si dice soddisfatta dell’apertura di Bersani ad una legge che riconosca le coppie gay, “ma nel Pd si decidano, ogni volta che qualcuno propone una cosa del genere poi i cattolici si mettono di mezzo. Serve coerenza”. Sul palco alla fine è il turno del sindaco di Bologna Virginio Merola. Qualche fischio iniziale, poi solo applausi quando serve alla folle l’uno-due che tutti volevano sentire: “Serve una legge che riconosca le coppie di fatto omosessuali, ma serve anche di più. Il cuore mi dice che serve anche una legge che permetta i matrimoni civili tra persone dello stesso stesso”.
Un corteo che non ha dimenticato i terremotati, e che ha destinato quanto inizialmente stanziato per i carri allegorici ad un fondo per la ricostruzione. Non solo. Il ricavato dalla grande festa di fine pride, una maratona notturna con dj, artisti e cantanti, coprirà le spese dell’evento ma sarà destinato anche ad un fondo speciale di sostegno per i terremotati dell’Emilia.