La sentenza della Corte Europea dei Dritti dell’Uomo e relativa al caso Centro Europa 7 S.R.L. c. Italie et Di Stefano c. Italie, Centro Europa 7 S.R.L. c. Italie et Di Stefano c. Italie ha reso giustizia di una intollerabile situazione di omissioni e inadempienze che ha impedito alla legittima assegnataria delle frequenze Tv (Europa 7) di trasmettere i propri programmi da oltre 10 anni a questa parte. Le frequenze, come noto, sono state occupate da Rete 4 ed un coacervo di leggi, leggine, regolamenti, sentenze ha di fatto impedito – secondo la Corte di Strasburgo – un reale pluralismo informativo.

Che il conto dei vantaggi economici miliardari realizzati Mediaset lo pagheremo tutti noi, lo hanno già scritto in molti. Come in tanti hanno scritto delle meno palpabili conseguenze della mancanza di pluralismo culturale, che ha condizionato la formazione di una intera generazione.

Leggendo la sentenza, tuttavia, mi sembra che il rischio più grande per l’Italia sia un altro.
Infatti la Corte Edu ha testualmente affermato che la legislazione nazionale italiana difettava di una chiarezza e precisione che non ha permesso di assicurare un grado di certezza sufficiente.
In sostanza ha applicato il principio del “defaut de sécurité juridique”, concludendo per la violazione dell’art. 10 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 1 del protocollo aggiuntivo. Il principio affermato dalla Corte di Strasburgo non può che essere preso come un campanello di allarme (l’ultimo, probabilmente) per rimetterci in linea con il principio di certezza del diritto.

Dopo quasi quindici anni di professione, sia da magistrato che da autore di libri, credo di poter dire che almeno il 50% delle questioni giuridiche che si pongono all’attenzione dei giudici (soprattutto amministrativi, ma anche civili e penali) sono state risolte dalla giurisprudenza con soluzioni contrastanti, ancor oggi solo di rado risolte univocamente dalle Sezioni Unite della Cassazione o dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in funzione c.d. di nomofilachia.

Questo significa che l’utente della giustizia non solo non può essere pienamente consapevole ex ante del contenuto precettivo delle regole, ma addirittura è costretto a rivolgersi ai tribunali sperando che i giudici accolgano la tesi più favorevole al proprio interesse. Una situazione inaccettabile, in cui il diritto perde il suo stesso senso di regolazione dei rapporti e la norma finisce con il non assolvere alla propria funzione dirimente.

Gli effetti sul nostro ordinamento di una generalizzata presa d’atto di tale “defaut de securité juridique” potrebbero essere davvero dirompenti, comportando condanne numericamente molto elevate per l’Italia, nei più disparati settori giuridici. L’ho scritto un paio di anni fa su una rivista specializzata, dopo aver avuto il privilegio di lavorare come giudice distaccato presso la Corte di Strasburgo, ma le cose da allora non sono di certo migliorate ed, anzi, se possibile, almeno nel diritto amministrativo (con la introduzione del nuovo codice di procedura), sembrano addirittura essere peggiorate.

Speriamo che si ponga presto rimedio e che non si debbano aggiungere ai milioni e milioni di euro che l’Italia già paga per la lentezza dei processi, somme altrettanto significative per la mancanza di certezza del diritto.

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