Otto anni di lavoro. Sceneggiatura, revisione, cast, finanziamenti da cercare. “Qualche nuvola”, come da titolo, che nel corso del tempo diventa tempesta. Film italiani smarriti nel vortice della distribuzione, delle attese, delle multisale riottose alla diversificazione dei generi. Era accaduto con la premiata opera di Ivano De Matteo “La bella gente”, osannata in Francia e tenuta nei cassetti in Italia. È avvenuto con l’opera prima di Saverio Di Biagio (già assistente di Maurizio Sciarpa e Daniele Vicari). Il suo film ha un solido cast (Elio Germano, Michele Alhaique, Giorgio Colangeli, Michele Riondino, Greta Scarano, Primo Reggiani, Aylin Prandi), un andamento lieve distante dai tanti Natali in Sudafrica e racconta (con l’ovvia distanza dall’originale) una storia alla Capra di una semplicità disarmante. Diego e Cinzia si conoscono da sempre. Abitano l’uno di fronte all’altra. E nel microcosmo della borgata romana nella quale vivono e dove ogni loro sospiro è analizzato da una corte fedele, curiosa, non di rado invadente, il loro matrimonio, preceduto da un fidanzamento decennale, è un evento. Diego è muratore. Ristrutturerà una casa ricevuta in eredità per sublimare una parabola amorosa già scritta. Tra l’agognata normalità coniugale di Diego e Cinzia, le loro aspettative senza vizi e il teatro umano che gli danza intorno, si frappone Viola. Il terzo incomodo. Una ricca bellezza incontrata per caso che lentamente stravolge le certezze di Diego e gli fa desiderare un’impossibile evasione.
“Qualche nuvola”, passato a Venezia nel Controcampo italiano chiuso dal nuovo direttore Alberto Barbera è un esordio onesto. Un apologo sul destino in cui si sorride senza rutti. Non è poco. L’epilogo non è inatteso, ma Di Biagio (che segue i personaggi con affettuosa lontananza e non pretende di inventare nulla né giudicare) arriva alla conclusione disegnando una commedia gentile, in cui Germano interpreta un venditore di mobili molesto ed efficace: “Con questo divano vi portate via un oggetto di valore che regalerà alla vostra abitazione un tocco vintage”, Alhaique un Candide stravolto dalla possibilità del tradimento (Il suo amico Reggiani gli indica la strada: “Mentire, mentire sempre”), Riondino un prete terrorizzato dall’eccesso verbale e la comunità assume il ruolo della comare non discreta: “Avete litigato?” a cui nel corso dell’educazione sentimentale gli sposini deputati a compiacerla si ribellano brillando per autonomia: “Fatevi i cazzi vostri”. Non è la borgata di De Seta, né quella di Zampa. Ma non c’è retorica o messaggio imposto. Solo “Qualche nuvola”, presente in tutti i cieli che si pretendono limpidi. Molto ci sarebbe da dire sul circuito che porta, a quasi dodici mesi dalla sua prèmiere, “Qualche nuvola” in sala con Fandango il 27 giugno. Avvenne anche con l’illuminante “Corpo celeste” di Alice Rohrwacher. Sottovalutazione e gioco al massacro. “Qualche nuvola” andrà sostenuto, ma l’impresa è ardua. In pieni europei calcistici, in città calde come la Roma mimetica, scissa tra ricevimenti vacui e periferie descritta da Di Biagio, con le valige sull’uscio e l’indifferenza degli esercenti. Dove c’era una volta il cinema italiano sostano tentativi solitari. “Siamo in piena salute” si dice. E il sospetto, come sempre, è che si parli della superficie.
La locandina è stata gentilmente concessa in anteprima al ilfattoquotidiano.it (clicca qui per l’immagine integrale)