Società

Il senso del volere, oltre la cultura normativa

Grazie alla storia siamo informati di come funzionavano le cose in altre epoche, grazie all’antropologia in altri luoghi, in altre culture. Uno sguardo etnografico (il termine in greco significa ‘descrizione dei popoli’) e una cultura storica ci possono aiutare a confrontare modi di fare, a capirne il senso.

Possiamo anche in questo caso chiederci: qual’è il significato positivo, nelle buone (dal suo punto di vista) intenzioni di chi lo mette in atto?

Una cultura normativa, basata su regole chiare, su ‘devi’ e ‘non devi’ è stata utile in epoche in cui la stragrande maggioranza delle persone era analfabeta e non aveva nè tempo nè risorse per poter riflettere autonomamente sulle conseguenze delle proprie azioni, e prendersene la responsabilità. Norme religiose e sociali cercano di evitare i danni che ci facciamo a vicenda, richiamandoci a comportarci bene, se non proprio al vivere il valore della misericordia, della compassione per la nostra comune umanità vulnerabile e imperfetta.  

L’invenzione e la diffusione della stampa, a partire da circa cinque secoli, ha trasformato l’umanità, e ha poi richiesto la scuola e l’alfabetizzazione per tutti. Non credo sia facile, per noi oggi, immaginare come si possa vivere senza saper leggere e scrivere. 

Se Max Weber teorizza il rapporto tra l’etica protestante e lo sviluppo del capitalismo, lo sviluppo dell’etica protestante stessa è legata alla diffusione dell’alfabetizzazione: nelle famiglie luterane si leggeva la bibbia insieme, a casa, ragionando e riflettendo sull’opportunità di comportamenti etici e costruttivi. La diffusione del protestantesimo è impensabile senza quella dell’alfabetizzazione. 

Dal ‘senso del dovere’ si passa, riflettendo, al ‘senso del volere’: da piccini basta lo sguardo critico e poi i ‘devi’ della mamma per informarci su quel che è gradito o meno, nella cultura familiare e sociale, crescendo poi il riflettere insieme ci insegna a pensare alle conseguenze delle nostre azioni, a scegliere che tipo di persona vogliamo essere.

Frequenterei volentieri una persona che dica: ‘non rubo perché non devo’? E se ho scelto la carriera del ladro io stessa: in tal caso non posso lamentarmi del disagio di vivere in una società in cui si investe in dispositivi antirapina e si sta sul chi vive, dato che contribuisco a crearla. 

Oggi sappiamo tante cose, la maggioranza legge e in tanti siamo interconnessi nel web, informati ‘in tempo reale’. Siamo responsabili, capaci di rispondere delle nostre azioni (che comprendono il nostro modo di comunicare), nel dialogo interiore e parlando con gli altri, almeno potenzialmente. E le potenzialità possono presto fiorire, e stupirci positivamente.

Potenzialità è un concetto davvero immaginoso e umano: un qualcosa di potenziale esiste solo per chi crede che esista, illumina la direzione di uno sviluppo augurabile.

Abbiamo oggi, in molti, tempo, potenzialità e capacità: possiamo imparare e studiare per tutta la vita e il termine ‘crescita personale’ non è certo esotico, ma banalmente quotidiano.

Parafrasando Brecht: chi si comporterebbe diversamente, se sapesse che Dio esiste, ha bisogno di lui. Il nostro bisogno di bene, di star bene, di lasciare un mondo decente in eredità ai nostri figli, di scegliere di essere la persona che ci auguriamo di frequentare per tutta la vita può diventare una base solida all’etica, più solida del senso del dovere.

La persona autonoma può perfino reagire con fastidio al ‘devi’: e da qui partire nel riflettere intorno a che tipo di persona vuole essere. A che tipo di conseguenze vuole scegliere, per le sue azioni e comunicazioni.