Alfio Curcio ha quarant’anni, dice di essere un “diversamente giovane” e porta la storia di questo ennesimo attentato al pubblico riunito a Castel Volturno, all’assemblea dell’agenzia “Cooperare con Libera Terra”, nei terreni dedicati a don Peppino Diana, là dove Michele Zaza il capocamorra teneva a lucido i suoi cavalli di razza. Parla come direttore della “Beppe Montana”, che ha avuto in gestione anche i beni confiscati alla famiglia Nardo nel comune di Lentini, provincia di Siracusa. In tutto cento ettari circa. La cooperativa l’ha messa su lui insieme ad Andrea, ventiquattro anni, il giovanissimo presidente, ad Antonella, a Diego e Giuseppe, tutti selezionati con bando pubblico. Alfio ha un bel cranio lucido alla Vialli (o alla Ruggeri), una maglietta color amarena e gli occhi azzurri scintillanti come ogni tanto se ne trovano solo in Sicilia.
“Certo che ero abbattuto. Ci siamo fatti in quattro quasi senza soldi e con pochi mezzi manuali, usando i falcetti per il taglio delle erbe infestanti, e semplici seghetti e forbici per la potatura degli ulivi. Non ti dico cosa è stato. Tu pensa solo che dal momento della confisca a quello della assegnazione erano passati dodici anni, dunque immagina che cosa abbiamo trovato. Eppure ce l’avevamo fatta. Dagli agrumeti avevamo tirato fuori una quantità di frutta sufficiente a realizzare il progetto della produzione di marmellata di arance rosse; una bellissima etichetta, la scritta ‘Gusto di Sicilia’ con la ‘i’ intrecciata alla ‘u a formare la parola ‘giusto’. Gli ulivi hanno consentito una piccola produzione di olio extravergine. E anche dal seminativo è arrivata una discreta produzione di grano. Era troppo bello”.
L’homepage del sito comunica il clima dell’euforia primaverile: acquista le arance, acquista i prodotti, campi di volontariato, il progetto. Prontal’idea di far partire l’attività di turismo sociale. Di aprire nuove opportunità ai giovani svantaggiati, come è nello spirito di queste cooperative. Tutti pronti, con l’aiuto di qualche amico, ad accogliere i trecento giovani, specialmente scout, che si sono prenotati da qui a settembre, dalla Toscana e dal Trentino, dall’Umbria e dal Veneto, per venire a offrire il proprio lavoro volontario.
A loro, nei momenti di formazione, faranno ascoltare le parole di Ivan Lo Bello, il simbolo della nuova imprenditoria siciliana, e di suor Lucia, che si batte in nome del Vangelo nel difficilissimo quartiere catanese di Librino. A loro, che non ne hanno mai sentito parlare, racconteranno chi era Beppe Montana, d’altronde lo hanno scritto sull’etichetta delle loro bottiglie “Frutti rossi di Sicilia”: “impavido commissario di Polizia posto a capo della squadra Catturandi di Palermo, vigliaccamente ucciso in un agguato mafioso”.
Gi, era di Catania, Montana, e si era messo in testa di cercare i latitanti quando nessuno lo faceva, anche comprandosi coi suoi soldi i binocoli e la benzina per i pedinamenti. Il quotidiano locale rifiutò il necrologio del padre perché aveva accusato del delitto la mafia. Senza prove, era stata l’obiezione. “Mentre a noi i carabinieri ci hanno detto che al cinquanta per cento è stata autocombustione. Che non ci sono tracce di benzina. Ma questo non è un appartamento, sono ettari di campagna , come si fa a dirlo? In ogni caso, morale sotto i tacchi o meno, abbiamo avuto tanta di quella solidarietà che abbiamo deciso di continuare, di ricominciare. Siamo tornati sui terreni, li abbiamo misurati una volta di più, per reimpiantare gli aranci. Anzi, do l’appuntamento all’anno venturo. Venite a trovarci. E troverete il nostro giardino più rigoglioso e più verde di prima”.
Il Fatto Quotidiano, 10 Giugno 2012