Ho un bel ricordo degli anni Settanta, e non solo perché ero un po’ più giovane di quanto non sia ora… Prima che l’offensiva terroristica di settori dello Stato e di piccoli gruppi armati inaugurasse la triste stagione degli anni di piombo, si viveva un clima di grande e vera democrazia, basata sull’espressione e la rivendicazione dei bisogni insoddisfatti degli enormi settori sociali che non avevano potuto beneficiare del miracolo economico degli anni Sessanta. Erano gli anni nei quali si parlava, in termini positivi, di un’eccezione italiana, di un’onda lunga delle lotte operaie e popolari che dal Sessantotto arrivarono fino a metà degli anni Settanta, determinando risultati importanti su ogni piano, da quello legislativo, con lo Statuto dei lavoratori, il sistema sanitario nazionale, la riforma delle pensioni, il riconoscimento dei diritti di militari e poliziotti (i Cocer nelle caserme e il sindacato nei commissariati e nelle questure), a quello dell’amministrazione locale, a quello culturale in senso lato con l’esplosione del movimento femminista e di quello giovanile.
Al centro di questa mobilitazione senza precedenti, che cambiò in meglio il volto dell’Italia, c’era una forza operaia radicata e diffusa, che costituiva, allora come oggi, il principale bastione della democrazia e della Costituzione. Non a caso uno degli slogan più frequenti era “la classe operaia deve dirigere tutto”. Poi, su scala mondiale, europea e nazionale cominciò la controffensiva del capitale, basata sugli assi della finanziarizzazione e della delocalizzazione e frammentazione produttiva.
Sono passati grosso modo quarant’anni… ma, nonostante tutto, la classe operaia c’è ancora, anche se ha mutato la sua composizione, divenuta multietnica e le condizioni di lavoro sono peggiorate, con un’ampia precarizzazione di tutti i posti di lavoro, come pure la parte di reddito nazionale che spetta ai lavoratori e alle lavoratrici è vertiginosamente precipitata, come poco tempo fa ha confermato l’Istat. C’è più in generale un’evidente incapacità dell’attuale sistema economico mondiale di creare lavoro. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro esiste, su scala mondiale, un esercito di settantacinque milioni di giovani da 15 a 24 anni che sono disoccupati. Probabilmente lo spreco maggiore esistente.
Un settore particolarmente rivelatore è quello degli infortuni sul lavoro: le morti bianche continuano a ritmo insostenibile. Il recente convegno organizzato dai giuristi democratici al tribunale di Roma, con la partecipazione del giudice Guariniello, ha dimostrato la possibilità di strategie efficaci per il contrasto di questo fenomeno particolarmente doloroso e inquietante. Eppure il fenomeno continua: emblematico in modo sconvolgente il fatto che di recente in una fabbrica – l’Ilva di Novi Ligure – non si sia nemmeno fermato il lavoro a seguito della morte di un operaio.
Sono convinto che la ripresa di un protagonismo operaio sia una condizione essenziale per superare la nostra attuale crisi di democrazia. Da questo punto di vista è stata importante e positiva l’iniziativa adottata dalla FIOM sabato scorso all’hotel Parco dei Principi a Roma. Mi pare che le risposte più efficaci siano venute in tale sede da Di Pietro, Ferrero e Vendola. Di Pietro, in particolare, ha replicato alle indebite accuse di “diffamazione” provenienti da Bersani denunciando i cedimenti ingiustificabili del PD su art. 18 e fiscal compact.
Come ha scritto di recente Beppe Grillo, occorre tornare a fare politica, perché se uno non si occupa di politica è la politica ad occuparsi di lui e lo spolpa vivo. Il nodo della politica pare in effetti oggi cruciale. Un azzeramento dell’attuale casta di governo, comprese le sue appendici di burocrati, manager e imprenditori, appare assolutamente necessario per liberare questo nostro Paese affaticato dalla zavorra e garantire un futuro ai giovani.
Oggi come ieri, è essenziale un ruolo attivo e protagonista della classe operaia e dei lavoratori. No, la classe operaia non deve digerire tutto, deve dirigere tutto. Insieme al resto dei cittadini, anche loro stanchi di dover digerire le malefatte della casta, sia essa politica, burocratica, finanziaria e imprenditoriale.