Fino a ieri era una distesa d’oro, grano maturo a perdita d’occhio. Ora è un manto nero, che puzza di cenere. E di mafia. E’ andato in fumo il raccolto di Libera Terra a Mesagne, nel Brindisino, e ora si indaga per incendio doloso. Il sospetto che dietro ci sia la mano della criminalità, infatti, è più che reale. Le fiamme sono divampate, nel pomeriggio di domenica, partendo da un punto specifico, limitrofo alla strada, fino a travolgere l’intero campo da sei ettari, quello più esteso e su cui erano stati stimati non meno di 200 quintali di grano. Doveva essere trebbiato mercoledì per produrre i taralli col marchio della Onlus fondata da don Luigi Ciotti. Invece nulla.
La stima dei danni ammonta a non meno di seimila euro, tenendo conto del prezzo medio fissato settimanalmente dalla Borsa del grano. “Era la prima volta che piantavamo questa specialità, con metodo biologico, il Cappelli. Non è la prima volta, invece, che il raccolto viene distrutto. Andiamo avanti, tre altri ettari non sono stati toccati. Ci rifaremo partendo da quelli”. Non si perde d’animo Alessandro Leo, presidente della Cooperativa Terre di Puglia Libera Terra, che da nove anni, in contrada Canali, gestisce due appezzamenti e il podere che sarà ristrutturato a breve per diventare una “masseria didattica”. Beni confiscati negli anni ’90 a Carlo Cantanna, uno degli uomini più vicini al fondatore della Sacra Corona Unita, Pino Rogoli. L’assegnazione all’associazione è avvenuta solo nell’ottobre del 2005. E da allora gli atti intimidatori non sono mancati mai, con i roghi, almeno tre, che in passato hanno già divorato vigneti e graminacee.
Dopo la denuncia contro ignoti presentata dai volontari, sono i carabinieri della locale compagnia di Mesagne a condurre le indagini. “Inutile dire che noi non ci fermiamo, attendiamo più di 200 giovani per i campi di lavoro su questo bene confiscato, il 9 luglio sarà la volta della tappa del Festival itinerante Libero Cinema in Libera Terra“, dice Leo. “A Mesagne da tempo è stata seminata la speranza e il raccolto continuerà a essere fruttuoso – continuano dal coordinamento nazionale – Coltivare e produrre sui terreni confiscati ai mafiosi e creare lavoro libero dalle mafie rappresenta il più grande schiaffo alla criminalità organizzata e a chi la copre”.
Uno schiaffo tanto forte da indurre a una reazione ancora più violenta. C’è stato il tempo della preparazione dei campi, c’è stato il tempo della semina, quello della crescita del grano. Si atteso, invece, il momento prossimo alla mietitura, perché il danno fosse più cospicuo, dal punto di vista economico e dal punto di vista morale.
Un copione già visto appena cinque giorni fa, in Sicilia, dove sei ettari di agrumeto sono stati carbonizzati tra Paternò, Mascalucia e Misterbianco, nel Catanese. Sono i terreni confiscati a Cosa Nostra e gestiti dai giovani che hanno voluto intitolare la loro cooperativa Libera a Beppe Montana, “impavido commissario di Polizia posto a capo della squadra Catturandi di Palermo, vigliaccamente ucciso in un agguato mafioso”, come scrivono sull’etichetta delle loro bottiglie “Frutti rossi di Sicilia”.
“Frugate sui siti di Libera Terra e troverete l’istantanea di due ragazzi in jeans e felpa su un sentiero. Li vedrete chini su cinque cassette, colme dell’oro delle arance. Felici davanti al primo raccolto della cooperativa, nata nel 2010. Poi riandate su quei siti a vedere la foto di ciò che è rimasto. Lo stesso sentiero della prima foto vi sbatte in faccia un’immagine di desolazione, rami inscheletriti e terra annerita, non un segno di vita, con il cielo azzurro terso sullo sfondo che sembra una beffa suprema della natura. Così gli straccioni dell’antimafia imparano a prendersi in gestione i beni che lo Stato confiscò, in contrada Casablanca, al clan della famiglia Riela”. Ha usato quest’immagine Nando Dalla Chiesa per stigmatizzare l’intimidazione.
Anche a Catania, come a Mesagne, l’incendio è certamente doloso, visto che sono stati rinvenuti un foro nella rete di recinzione e un orologio bruciato. Ad essere ridotti in cenere sono almeno cento alberi d’ulivo e duemila piante di arance rosse, che sarebbero servite per portare avanti il progetto della marmellata al ‘Gusto di Sicilia‘. Il contraccolpo economico si aggira intorno ai centomila euro. Quello simbolico è ancora maggiore. “Ma – dicono da Libera – le fiamme in Puglia come quelle in Sicilia non fermeranno la scelta e l’impegno del nostro percorso di restituzione alla collettività di quanto le mafie hanno sottratto con la violenza e la minaccia”.