Prosegue il nostro viaggio nel mondo della musica indipendente e oggi approdiamo a Vicenza per conoscere i Sarah Schuster, band formata nel 2006 – dopo qualche piccolo assestamento in line-up – da Daniela Dal Zotto (voce e chitarra), Matteo Mosele (batteria e cori) ed Eleonora Dal Zotto (chitarra e armonica) che al Fatto Quotidiano presentano il loro secondo album intitolato “Possibilities”, che ha visto la luce nel 2011 dopo “Rain from Mars” uscito nel 2009. Registrato al Bunker Studio di Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut, in fase di pre-produzione ha visto la collaborazione di Giovanni Ferrario in veste di produttore artistico. “Possibilities” è una prova di grande eclettismo della band veneta, un disco dalle sonorità folk-rock, che non disdegna il blues e che presenta sorprendenti arrangiamenti post-rock dovuti anche alla mancanza di un basso, fattore questo che permette loro di stimolarli nella ricerca di inediti arrangiamenti. Il titolo, invece, evoca i diversi orizzonti in cui collocano la loro band e le mille direzioni che le loro canzoni possono prendere in fase di composizione. Con brani dai testi intimisti, i Sarah Schuster riescono a toccare con le loro ballads le corde dell’emotività legate a esperienze universali: la sensazione di inadeguatezza adolescenziale (Delusional), l’abbandono onirico (Last swimmer on Earth), l’appartenenza (Ghost animals), l’impossibilità di descrivere la bellezza (The photographer). Un disco maturo, dalle molteplici possibilità e ispirazioni, composto da nove brani cantati in inglese che scorrono piacevolmente grazie anche a melodie avvolgenti e mai banali.
Abbiamo intervistato la cantante Daniela Dal Zotto per conoscere più da vicino questa band davvero molto valida e intraprendente.
Daniela, chi sono i Sarah Schuster?
I Sarah Schuster nascono, a dir la verità, come quartetto nel 2006. Successivamente la nostra prima cantante, Lisa, ha abbandonato la band e abbiamo deciso di rimanere in tre. Io ed Eleonora siamo sorelle e abbiamo suonato insieme anche in altre formazioni, alcune delle quali gravitavano intorno al CSC di S. Vito di Leguzzano (VI), locale storico del Veneto, con una delle migliori programmazioni live in circolazione. Alla fine 2005 abbiamo iniziato a provare alcune canzoni per un nuovo gruppo. Ci siamo messe alla ricerca di un batterista e grazie a un amico comune abbiamo conosciuto Matteo. In un paio di mesi abbiamo scritto i primi cinque o sei pezzi che secondo noi funzionavano anche senza basso, quindi la formazione strumentale è rimasta due chitarre, batteria e voce. La musica scritta in quel periodo è un rock dalle sonorità molto scarne, sia nei pezzi più spinti che nelle ballads, caratterizzato dagli intrecci di chitarra e, soprattutto dal vivo, dalla presenza di due voci.
Nel 2011 la grande prova con “Possibilities”.
Il titolo Possibilities è un tributo alla canzone omonima, incisa ma non inserita nel disco d’esordio perché non eravamo soddisfatti dell’esecuzione. Siccome a noi è sempre piaciuta molto, ci siamo ripromessi di farle onore nel disco successivo e quindi è diventata la title track. Il testo della canzone parla del bisogno di trovare un senso alle cose che succedono. Dice più o meno: “Pensi che valga la pena chiedere a qualcun altro di leggere i segni che hai lasciato cadere lungo la tua vita?” e si riferisce alla necessità che abbiamo di farci interpretare, di farci leggere da qualcuno, che sia Freud o Gesù Cristo o Oprah Winfrey, purché ci offra una spiegazione sulle cose, e invece “continui a credere nelle cose che pensi di aver provocato e non c’è modo di farti capire la forza delle possibilità”. A livello musicale ci piacerebbe comunicare, come dire, una specie di “rispetto” per la canzone: magari uno che compone da solo si può mettere in una posizione di controllo sulla canzone, ma scrivendo in gruppo diventa evidente che ogni canzone ha il suo messaggio e soprattutto il suo modo di comunicarlo.
La vostra band può esser compresa in quel genere cosiddetto “Cosmic americana”, che vede come capifila i Fleet Foxes e My Morning Jacket, che rivisita la tradizione folk rock Sixties americana. Fatte le dovute proporzioni, voi dov’è che vorreste arrivare… quali sono le vostre ambizioni?
I gruppi che citi non fanno parte dei nostri ascolti più frequenti, ma il fatto che ci si possa accostare a loro lo si spiega magari con un background musicale simile: probabilmente siamo cresciuti ascoltando la stessa musica. È una domanda che mi fa venire in mente un libro intitolato “Musica di plastica”, che parla del mito “dell’autenticità” nella musica pop. Ecco, secondo me, la cosa che ci accomuna ad alcuni gruppi rock di oggi, anche di generi diversi, dagli Akron/Family ai White Stripes, è il percorso a ritroso alla ricerca delle radici, quella necessità di legittimarsi musicalmente cercando una continuità con quello che è ritenuto “autentico”. È una costante nel rock: mi ricordo che nel libro è citato l’episodio emblematico di Kurt Cobain che suona Leadbelly su MTV. Sul dove vorremmo arrivare pesano moltissimo quelle “dovute proporzioni” di cui parli. Nel senso che mi pare che le possibilità offerte dalla scena italiana non siano paragonabili a quelle della scena statunitense o inglese, quindi uno non si aspetta chissà che riscontri planetari, a prescindere dal fatto che se li meriti o meno. La nostra ambizione è quella di permetterci sempre il privilegio di chiuderci in una stanza a scrivere canzoni, mantenere quello sguardo sulle cose e affinarlo con il tempo.
Mi descrivereste il vostro processo creativo? Come nascono le vostre canzoni?
Di solito le canzoni iniziano da una frase armonizzata su degli accordi di chitarra. Poi, un po’ alla volta, sviluppo il testo, di pari passo con la melodia. In sala prove arrivo con una specie di ossatura, a volte più definita, a volte si tratta davvero solo di una frase. Poi cerchiamo di vederci dentro insieme, di immaginare delle “possibilities” che a volte conducono a riferimenti comuni, altre volte ci fanno addentrare in zone poche frequentate.
Come vedete il panorama musicale italiano?
La scena musicale italiana è un po’ in difficoltà, come del resto tutto il Paese: i locali chiudono, pochi soldi che girano e sempre intorno agli stessi nomi… di musica buona ce n’è un sacco e non è necessariamente quella che ha più visibilità: basta andare in giro a sentire concerti e si scoprono un sacco di cose interessanti.
Cosa vi aspettate dal futuro?
Ci aspettiamo di continuare. Chiaramente stiamo scrivendo canzoni nuove; non ci sono cambiamenti drastici in vista, ma stiamo comunque cercando di metterci alla prova in diversi sensi: cerchiamo di fare l’orecchio a suoni mai usati prima, vogliamo continuare ad usare l’organo come in studio di registrazione. In generale cerchiamo di portare le canzoni oltre il punto in cui magari un tempo ci saremmo fermati: siamo diventati molto più esigenti con noi stessi.
Internet: un’opportunità o strumento cui volenti o nolenti bisogna averci a che fare?
Internet è utilissimo per veicolare musica, video, foto e un sacco di altri contenuti, ma la verità è che l’offerta è talmente ampia da diventare disorientante e alla fine raggiungi solo quelli che ti conoscono già e ti cercano. Certo, l’alternativa è affidarsi a contenitori, testate, portali e network che però replicano esattamente gli stessi modelli utilizzati da altri mezzi di comunicazione e quindi non sembrano poi così innovativi.