Le musulmane possono indossare il velo integrale. È la lettura data dalla Procura di Torino in merito a una denuncia presentata a febbraio da un italiano contro un’egiziana di Chivasso che indossa il niqab. Non ci sarebbe nessun pericolo pubblico, né sarebbe stata violata la legge Reale sul “travisamento”, perché la donna si lascia identificare e perché predominano i principi costituzionali a tutela dell’espressione religiosa. Sulla questione del velo integrale sono questi i cardini giuridici ribaditi dal procuratore aggiunto Paolo Borgna, a capo del gruppo sulla sicurezza urbana, che ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di archiviare il procedimento. Una decisione che potrebbe rianimare le polemiche sul “burqa”.

Era l’11 gennaio scorso quando una egiziana di circa 35 anni residente a Chivasso, è stata notata in un negozio da un geometra che il 9 febbraio successivo ha fatto una denuncia ai carabinieri. Stando a quanto riferito ai militari l’uomo aveva visto una donna “completamente coperta da un sudario scuro”, un capo che presentava “solo una fessura per gli occhi”. In lei aveva riconosciuto la stessa persona già incontrata e fermata dai carabinieri il 11 agosto 2010 perché passeggiava in città coperta da un niqab. Per il geometra la donna aveva una carta di identità “irritualmente rilasciatale dall’Ufficio anagrafe di Chivasso, non conforme alla legge” perché sulla foto del documento (di cui l’uomo aveva una fotocopia, “procuratosi chissà come”, si chiede il pm) aveva un semplice velo, un hijab, che lascia scoperto il viso. Lo stesso uomo aveva denunciato la signora in un’altra occasione. Il primo giugno 2010 aveva inviato una mail al direttore dell’Asl di Chivasso e alla responsabile del consultorio ginecologico lamentandosi della presenza della signora nella struttura qualche giorno prima. Eppure, nella sala d’attesa dell’Asl, l’egiziana si era scoperta il volto e non si è mai sottratta ai controlli d’identità.

Quella prima denuncia era arrivata sul tavolo del pm Raffaele Guariniello che, nella richiesta di archiviazione, sottolineava come l’articolo 5 della legge 152/75 (la legge “Reale”, nata nel periodo delle contestazioni e del terrorismo) punisca chi usa caschi protettivi o “qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Nel caso di Chivasso la cittadina straniera “indossava il burqa (un niqab, in realtà, ndr) in ossequio, secondo un’interpretazione diffusa, ai principi della religione islamica: e dunque l’applicazione del divieto imposto dalla legge deve coniugarsi con il rispetto dell’articolo 8 della Costituzione”. Inoltre “la motivazione religiosa della condotta contestata” può essere considerata uno dei “giustificati motivi previsti dal Legislatore”. Guariniello prima e Borgna ora riconoscono il diritto tutelato dall’articolo 19 della Costituzione a manifestare “in qualsiasi forma” la propria fede e il rispetto dei limiti del “buon costume”.

In più per il procuratore aggiunto Borgna non c’è niente di anomalo nella carta d’identità della donna perché i tratti somatici e il viso sono visibili e riconoscibili. Inoltre una circolare del Ministero dell’Interno datata 1995 consente nei documenti l’uso di foto con copricapi “religiosi”, come i veli delle suore cattoliche, non equiparabili all’uso di un qualsiasi cappello. E forse proprio questo l’elemento su cui faceva leva  la denunciata., a cui i servizi demografici del Comune avevano negato il rilascio del documento d’identità per via delle fototessere in cui lui portava un caschetto da cantiere: “Non è verosimile pensare che indossi abitualmente e sistematicamente tale casco, trattandosi di un dispositivo di protezione antinfortunistico”, scrive il pm. Il provvedimento ha subito suscitato le reazioni del centro-destra. Per Maurizio Marrone, consigliere comunale del Pdl, “Grazie alla procura, Torino diventa Torinistan”, mentre per l’eurodeputato leghista Mario Borghezio: “Torino rischia di diventare la capitale europea del burqa”

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