“Il nostro è un mix intelligente tra diritto romano (quello originale però), democrazia digitale, sharia e stalinismo temperato. Ecco la ricetta che tutto il mondo c’invidia”. All’apertura dell’anno giudiziario 2014, il presidente e capo del governo professor monsignor compagno Mario Monti non è riuscito a nascondere la soddisfazione per gli importanti traguardi raggiunti in un paio d’anni dalla sua squadra. E dire che tutto era iniziato un po’ in sordina, con la proposta del ministro della Giustizia Paola Severino di utilizzare i detenuti per lavori di pubblica utilità nelle aree disastrate dal sisma emiliano.
Poi, si sa, una ciliegina tira l’altra. Ed ecco aggiungersi ai carcerati, in rapida sequenza, i titolari di pensioni per non vedenti che ci vedevano benissimo, i proprietari a loro insaputa di abitazioni nel centro di Roma, i titolari di gioiellerie che avevano dichiarato ottocento euro di entrate mensili lorde, le centinaia di vicedirettori un cazzo facenti delle varie sedi Rai e Rutelli con signora.
Al gruppone dei volenterosi erano stati quindi aggregate le migliaia di avvocati cassazionisti disoccupati dopo la riforma lampo del terzo grado di giudizio. Semplice e chiaro l’unico articolo della legge: “Com’è che in tutta la Francia sono abilitati al patrocinio davanti alla Cour de Cassation 110 avvocati e invece il nostro Albo Speciale Cassazionisti ne conta 150 solo a Lamezia Terme e in tutta Italia sono quasi 50.000? Basta. In Cassazione non ci si va più automaticamente, ma solo con fondatissimi motivi. Del resto, in tanti Paesi manco l’appello è automatico”.
Tutte riforme – approvate dalla stragrande maggioranza dei cittadini tramite referendum istantanei via web – che avevano fatto ulteriormente riflettere la compagine governativa: perché farsi condizionare da partiti alla canna del gas, condannati a percentuali irrisorie dai sondaggi eppure ancora famelici e ambiziosi nel dettare chissà quali agende politiche? Anzi, voraci proprio perché consapevoli dell’ultima occasione utile? Ad esempio, un membro dell’AgCom, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, indicato da questo o quel partito, si puppava ogni anno per sette anni di incarico sui trecentomila euretti. Stop, nomine di governo per tutte le authority, seimila euro netti al mese che sono sempre un gran bel prendere e non rompiamo più le balle. Tempo della decisione: mezza giornata.
Monti, gettata la maschera da professorino timorato nella celebre conferenza di Sesto San Giovanni, “Rivalutare l’Ottobre e il Discorso della Montagna”, agli elementi di benevolo dirigismo aveva quindi unito magistralmente il meglio dell’antico diritto romano, risolvendo tra l’altro all’istante il problema Bossi: “Fino alla morte del loro pater familias, i figli maschi non potranno essere titolari di un proprio patrimonio e ogni acquisto che porranno in essere verrà imputato direttamente alla sfera giuridica del loro pater”. Saluti all’Umberto, quanto al Trota arrivederci alla salina di Cervia che lì c’è sempre un gran daffare. E tutto senza neanche la fatica di doversi inventare un nuovo articolo del codice.
In un primo momento era rimasto in stand-by il progetto per l’introduzione nel sistema di alcuni selezionati elementi della legge islamica, ritenuta crudele e inumana, benché efficace ed estremamente gratificante per l’opinione pubblica. Ma l’ipotesi di punire secondo la sharia i giornalisti che andavano a intervistare i terremotati nelle tendopoli oppure i parenti delle vittime di qualche disastro in genere sperando che si mettessero a piangere davanti alla telecamera, aveva fatto pendere la bilancia verso l’adozione ragionata della legge islamica. Con la visione di alcune puntate di “Porta a Porta”, anche le ultime perplessità erano cadute.
di Andrea Aloi
Il Misfatto, inserto satirico de Il Fatto quotidiano, 10 giugno 2012