Attraversando il campo Liguria a San Biagio una delle prime cose che salta agli occhi è una grande fossa appena scavata. Misura forse tre metri per due e dentro hanno appena versato una colata di cemento, a mo’ di fondamenta. Strano vederlo in una tendopoli, il cemento simboleggia qualcosa di definitivo. Qui infatti, a venti giorni dal primo sisma, ci si inizia a organizzare per restare, forse qualche mese. “Quella buca l’abbiamo creata per piazzarci una cabina elettrica”, spiega il capo-campo, Emilio Ardovino. “Porteremo la capacità della corrente a 250 kilowatt per i condizionatori. All’inizio speravamo che non fosse un terremoto come l’Aquila. Si pensava a una cosa più piccola. Ma la scossa del 29 maggio ha cambiato tutto”.

Restare. Qui ormai il terremoto è quotidianità. Dentro le tende di San Biagio, piccola frazione di San Felice sul Panaro in provincia di Modena, sono ospitate più di 300 persone. Qualche giorno fa il comico ligure, Dario Vergassola, giunto in Emilia per la festa del Fatto Quotidiano ci segnala questo campo gestito dai suoi conterranei. Forse quello con la più grande varietà di nazionaltà. Così decidiamo di andare a vederlo. “Ci sono 11 nazionalità – racconta il capo-campo Ardovino – Pakistan, India, Mali, Benin, Tunisia, Marocco, Cina, Egitto, Nigeria, Costa d’Avorio e, naturalmente, un’ottantina di italiani”.

“Una convivenza pacifica. Queste persone tengono pulito il campo. Non dobbiamo mai raccogliere le cartacce o la spazzatura da terra”. I volontari del campo, una cinquantina in tutto, ci racconta Emilio, devono cercare soprattutto d evitare che gli sfollati si lascino travolgere dalla noia e dal far nulla. “Per trovare la coesione fra le etnie bisogna dare fiducia, farli lavorare con noi. L’integrazione combatte infatti una cosa pericolosissima: l’assistenzialismo”.

Poi Ardonvino, che all’università di Pisa è docente di logistica delle emergenze, spiega le sue paure: “Se non finiscono le scosse sarà un problema. Se le attività lavorative non riescono a ripartire o dovessero essere de-localizzate, queste persone si ritroveranno a ripartire da zero”. Già, le scosse. Quella della notte tra lunedì e martedì, di magnitudo 4.3, ha riaperto le ferite della paura e dell’ansia. “Io stesso dormivo in una stanzetta di quello che una volta era lo spogliatoio dell’arbitro. Sono stato sbalzato giù dalla branda tanto era forte”. Facile credere alle parole della psicologa del campo: “Nonostante siano al sicuro sotto le tende, la paura e l’ansia più grande per gli sfollati è quella di andare a dormire, quando ci si abbandona al sonno e ci si sente indifesi”.

La visita alla tendopoli è anche l’occasione, per il Fatto Quotidiano, per portare un piccolo dono a San Biagio e ai campi del Palaverde di Cavezzo, Medolla e San Felice sul Panaro. Quattro televisori, uno per ogni campo. Ci sono gli Europei di calcio e per qualcuno, soprattutto per gli anziani, seguire le partite è un miraggio. A Cavezzo, domenica scorsa i più fortunati si sono radunati intorno alla tv di alcuni sfollati marocchini. Con qualche inconveniente: “Tutta la telecronaca era in arabo”. E poi ci sono le notizie. Chi riesce a connettersi a internet porta sotto le tende qualche notizia: “Ma non vediamo telegiornali da settimane. Non siamo riusciti a trovare neppure una radiolina per ascoltare le notizie”, racconta una volontaria di Modena.

Al campo Liguria di San Biagio si incontra anche Giovanni Giovannelli, giovane vice-sindaco di San Felice. “Abbiamo dato assistenza a 1.500 persone su 11 mila residenti. Tutti quelli che ne avevano bisogno. Gli altri si sono appoggiati nelle case degli amici, ma molti sono rimasti nella tenda sotto casa” spiega Giovannelli. “Queste persone non ci hanno chiesto niente, hanno dimostrato una grande dignità”.

La tenda è ormai routine. Lungo i viottoli del campo non si vede una cartaccia, nulla in disordine. Un gruppo di bimbi delle nazionalità più disparate, gioca nella ludoteca che gli psicologi liguri hanno creato per loro. Poco più tardi potranno vedere alla tv la partita. Anche il terremoto, per molto tempo, sarà routine: “Dopo la scossa del 20 maggio ci eravamo convinti che il nostro fosse un terremoto minore”, spiega il vice-sindaco. “Ma alle 9 del mattino del 29 maggio abbiamo capito tutti che la nostra vita non sarebbe più stata come prima: dobbiamo iniziare a costruire bene, aver più cura del nostro territorio e adeguarci al fatto che siamo una zona sismica”. 

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