Zingaropoli. Nei giorni della campagna elettorale per la poltrona di sindaco di Milano Pdl e Lega evocavano questa immagine nei cittadini per opporsi alla candidatura sempre più forte dell’avvocato Giuliano Pisapia, poi diventato primo cittadino. In quel periodo i toni era più che accessi e i manifesti elettorali, per esempio quello che poneva sullo stesso piano pm di Milano e brigatisti avevano portato a un’inchiesta penale. In questo caso però è stato il Tribunale civile di Milano ha condannato, dichiarando il carattere “discriminatorio” di quell’espressione, i due partiti di centrodestra.
Il ricorso era stato presentato dal Naga, Associazione Volontaria di assistenza Socio Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti nei confronti di Lega Nord e Pdl per i manifesti affissi e le dichiarazioni fatte da Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. I due partiti dovranno rimborsare le spese di giudizio e la sentenza dovrà essere pubblicata entro trenta giorni sul Corriere della Sera. “Emerge con chiarezza – scrive nella sentenza il giudice Orietta Micciche’ – la valenza gravemente offensiva e umiliante di tale espressione che ha l’effetto non solo di violare la dignità dei gruppi etnici sinti e rom, ma altresì di favorire un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti”. La polemica, ormai vecchia di un anno, aveva scatenato un dibattito acceso.
“Per la prima volta in Italia viene depositato un provvedimento giudiziario che condanna dei partiti politici per discriminazione – commenta Pietro Massarotto, Presidente del Naga – è per noi una vittoria molto importante e vorremmo fosse intesa come un messaggio molto chiaro contro la normalizzazione dell’emarginazione e delle pratiche di esclusione sociale a cui purtroppo siamo stati abituati”. Si sosteneva nel ricorso che non fosse possibile né legittimo per un partito politico utilizzare slogan e dichiarazioni manifestamente discriminatori. Speriamo che questo rappresenti un passo verso l’effettiva tutela delle minoranze nel nostro Paese, ma quello che più speriamo è di non dover mai più intervenire per questo genere di discriminazioni istituzionali“.