L’approvazione del ddl anti-corruzione alla Camera, con la prova di forza della fiducia per superare i veti incrociati, sembra scatenare una rappresaglia sul tema della responsabilità dei giudici secondo questo assunto: “abbiamo mandato giù il rospo di queste norme sulla corruzione, ma adesso vogliamo la contropartita di una legge sulla responsabilità dei giudici più dura”. Qualcuno tenta di “vestire” questa richiesta di argomenti giuridici: le norme allargano i poteri dei pm e dei giudici e quindi devono essere controbilanciate da una adeguata normativa in materia di responsabilità.
Come al solito sulla giustizia si giocano partite di potere la cui logica a poco a che fare con la legalità e l’interesse dei cittadini.
Anzitutto non si capisce perchè una normativa anti-corruzione debba avere una contropartita: si tratta di una materia di assoluta emergenza e gravità che ci costa miliardi di euro da moltissimi anni e quindi è semmai inspiegabile perchè non si sia trovato un accordo prima e più rapidamente (ricordo che il governo precedente aveva promesso un piano anti-corruzione ai tempi dello scandalo della P3, poi messo nel cassetto). La mia riflessione, e non solo mia, è che in realtà la politica italiana è allergica a un efficace e pervasivo controllo contro la corruzione perchè lo scambio illecito di favori e denari e il traffico di influenze sono spesso non la patologia ma la normale fisiologia della gestione del potere. Il fatto stesso che la stagione di Mani Pulite conduca a un ridimensionamento del reato di abuso d’ufficio, oggi figura minore e residuale e di improba difficoltà per gli inquirenti, dice molto dello scarso tasso di tolleranza al controllo di legalità delle nostrane stanze dei bottoni. A molti farebbe troppo comodo una magistratura addomesticata e burocratica, con strumenti spuntati contro i reati dei colletti bianchi.
Non si comprende davvero perchè la lotta alla corruzione debba scambiarsi con una presunta maggiore responsabilità dei magistrati.
Rispetto a questo tema dico solo alcune poche cose, riprendendole peraltro da illustri giuristi come Trimarchi o grandi magistrati come De Cataldo:
– i magistrati hanno già molte forme di responsabilità: civile, penale, disciplinare, contabile; ad oggi c’è solo il limite che per gli eventuali danni cagionati con dolo e colpa grave il privato agisce contro lo Stato che poi si rivale sul magistrato (come accade per gli insegnanti);
– la giustizia disciplinare è tutt’altro che blanda, essendo quella che registra più procedimenti e condanne rispetto ad ogni altra categoria professionale (giornalisti e avvocati, per esempio) e ad ogni altro settore della PA: si può fare meglio specie sotto il profilo della valutazione, ma non si dica che a chi sbaglia non succede mai nulla (lo dicono i dati del Centro Europeo di studi sulla giustizia, CEPEJ);
– l’Europa non ha mai chiesto una responsabilità diretta ma vuole solo garanzie che i magistrati italiani possano essere chiamati a rispondere del mancato rispetto della normativa europea;
– la responsabilità diretta (il cittadino manda direttamente a giudizio il magistrato da cui si ritiene danneggiato), che ad esempio Cicchitto vorrebbe introdurre rilanciando l’emendamento Pini già bocciato da questo governo, non ha eguali nel panorama europeo e presenta il fortissimo rischio di sottoporre a continuo ricatto e minaccia il pm o il giudice che deve prendere difficili decisioni su processi delicati: è infatti del tutto prevedibile che le azioni verranno mosse soprattutto nei casi in cui sono in ballo questioni di particolare rilevanza economica.
Questo rischio “intimidatorio” contro la responsabilità diretta è tanto vero che la stessa dinamica parlamentare di questi giorni lo conferma: se diamo uno strumento troppo forte contro la corruzione alla magistratura dobbiamo poi trovare il modo di “tenerla a bada” con la minaccia dell’azione di responsabilità diretta.
Un pubblico ministero medio in Italia può avere pendenti 800 indagini (a volte molti di più), in ognuna delle quali avrà almeno una persona offesa o un indagato da scontentare e che potrebbe investirlo e impaludarlo nella difesa di sé stesso piuttosto che lasciare che si impegni ad accertare fatti di reato e a far applicare la legge.
Sappiamo che modello di magistrato vuole una larga fetta del potere politico. Il problema è che non corrisponde al modello costituzionale.