I fatti.
Alla fine del 2011, una ragazza sedicenne si presenta al consultorio di Spoleto con il suo ragazzo ugualmente minorenne e si appella agli articoli 4 e 12 della legge 194 del 1978 perché non vuole (o non può, non lo sappiamo) informare i genitori del suo stato e delle sue scelte. Poiché la norma dice che, in tal caso, la struttura sanitaria compila una relazione e, entro sette giorni dalla richiesta, la invia al giudice tutelare che, a sua volta, “entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza”. (In tutto, fanno 12 giorni di attesa.)
Il consultorio di Spoleto trasmette entro i tempi previsti la relazione al tribunale, il giudice però non prende alcun provvedimento. Invece, il 3 gennaio 2012 trasmette un rilievo di incostituzionalità all’Alta Corte circa l’articolo 4 della stessa 194, citando, fra altra giurisprudenza, una sentenza della Corte Europea del 18 ottobre 2011. La questione sarà discussa il prossimo 20 giugno.
Moltissime, in rete, le prese di posizione intitolate #save194, il che non necessita di commenti.
Parecchie, le riprese della notizia con l’indicazione delle iniziali della giovane minorenne che, a nostro avviso, sono assolutamente inutili ai fini di un corretta informazione mentre contribuiscono alla solita caccia al personaggio misterioso: i giornalisti devono cominciare a stare attenti, ci servono notizie e non pettegolezzi! Viceversa, nessuno (ma proprio nessuno) ha pubblicato il nome del giudice, quando è noto che rilievi e relazioni all’Alta Corte non sono quasi mai anonimi. La polemica, nel frattempo, va esplodendo.
L’analisi del fatto.
Per prima cosa, va sottolineato che la giovane sedicenne, nel frattempo, non ha potuto usufruire di una legge in vigore. Non comunque nel modo in cui lei intendeva chiederne l’applicazione (quantomeno, ha dovuto informare la famiglia). Non solo. Una decisione che era da lei considerata della massima riservatezza è finita, con tanto di sue dichiarazioni virgolettate, nel casellario della corte dove chiunque può leggerla (ometto il link proprio per questo motivo).
Per quanto riguarda le eccezioni di anticostituzionalità, si può ben immaginare come una legge tanto delicata abbia scatenato le attenzioni dei contrari: c’è un intero movimento per la vita (come se i favorevoli non lo fossero!) che ha messo al lavoro ormai da 34 anni tutti i suoi giuristi. E infatti, la Corte ha già detto la sua, sul punto, diverse volte. Tanto che ormai si ritiene assodatala costituzionalità della norma.
Il magistrato di Spoleto ritiene però di avere una nuova freccia al suo arco, e cioè questa famosa sentenza europea che definisce individui gli embrioni umani. La sentenza, come può vedere chi se la leggerà per intero, si era preoccupata di proteggere gli embrioni dalle mire commerciali di un imprenditore che intendeva brevettarne l’uso per ricavare cellule progenitrici.
Di questa freccia, hanno dissertato molti. Noi, andando in giro a spulciare tra massimari, compendi, dizionari giuridici e quant’altro, abbiamo scovato una pronuncia dell’Alta Corte che pare invece decisiva nel disarmare l’arciere, definendo “inammissibile” la sua domanda. L’ordinanza è citata nei Quaderni pubblicati dal Csm, come caso di studio per evitare inutili ricorsi (“Tecnica di redazione delle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale”). Scrive Alberto Giusti, consulente della Consulta: “Parimenti è inammissibile per irrilevanza, nel corso del procedimento relativo alla richiesta di una minore tesa ad ottenere l’autorizzazione a decidere l’interruzione volontaria della gravidanza, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge n. 194 del 1978, sollevata dal pretore in funzione di giudice tutelare: il mancato assenso anche di uno solo dei genitori è, nella previsione dell’art. 12 della legge n. 194 del 1978, sostituito dal provvedimento del giudice tutelare, consistente in una autorizzazione a decidere, ma tale provvedimento rimane esterno alla procedura di riscontro, nel concreto, dei parametri previsti dal legislatore per potersi procedere all’interruzione della gravidanza, e ciò perché l’accertamento e la valutazione di quei parametri sono compiuti dal consultorio, dalla struttura socio-sanitaria o dal medico di fiducia, cui la minore si è rivolta (ord. n. 293 del 1993)”.
Ed ecco le parole testuali dell’ordinanza, che rigettava l’eccezione presentata da un giudice tutelare di Cuneo: “… il mancato assenso anche di uno solo dei genitori è, nella previsione dell’art. 12 della legge n. 194 del 1978… sostituito dal provvedimento del giudice tutelare, consistente in una “autorizzazione a decidere”, il quale provvedimento “rimane esterno alla procedura di riscontro, nel concreto, dei parametri previsti dal legislatore per potersi procedere all’interruzione della gravidanza” (sent. n. 196 del 1987), e ciò perché “l’accertamento e la valutazione” di quei parametri sono compiuti “dal consultorio, dalla struttura socio-sanitaria o dal medico di fiducia, cui la minore si è rivolta”.
In altre parole, il giudice tutelare non doveva sentenziare sull’interruzione, ma soltanto autorizzare il consultorio a decidere.
Nonostante i paletti a difesa della 194 siano forti e robusti, comunque, è bene che la campagna continui: #save194, a tutto spiano!