Ha lo stesso nome delle tessere dei tifosi della Nazionale a Euro 2012 (Vivo Azzurro) e di quelli del Napoli Calcio (Azzurro Card). Ma non c’entra col proibizionismo da stadio e le misure anti-degenerazioni calcistiche. Niente black list, niente filtro preventivo in Questura, niente obbligatorietà per abbonamenti e biglietti in trasferta. E nessun vincolo con capziosi circuiti di credito al consumo. Perché è semplice, gratuita, indolore. Si mettano subito l’animo in pace Tar, Antitrust e Garante della Privacy, non dovranno deliberare accertamenti né correttivi: il rugby non è il football, c’è il terzo tempo e i tifosi non sono al microchip, con servizi bancari venduti per colorita passione di curva e tribuna.
Autonomamente, senza scomodare l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, la Federazione Italiana Rugby ha creato il fan-club Azzurro XV+ con omonima fidelity card, strumento (facoltativo) per fidelizzare i rugbisti in una comunità d’intenti a palla ovale. In sostanza, un restyling della tessera del tifoso: “vuol rappresentare – dicono i promotori – la moltitudine dei tifosi, il sedicesimo giocatore che, dagli spalti, col proprio incitamento, contribuisce allo sforzo dei quindici in campo, unendo giocatori e tifosi di tutto il Paese”. Se la vuoi, la sottoscrivi, altrimenti niente. E fa lo stesso. Perché allo stadio, sempre se vuoi, c’entri comunque, in ogni settore, senza barriere, né gabbie: è la sintesi più facile (e felice) tra liberismo, etica sportiva e libertarismo.
La carta Azzurro XV+ funziona sul canale Listicket (Lottomatica, anche on-line) già per le sfide agli All Blacks della Nuova Zelanda (stadio Olimpico a novembre) e del 6 Nazioni (sempre a Roma, nel 2013 contro Francia, Galles e Irlanda). Previste azioni di comunicazione e marketing (priorità e agevolazioni su biglietti, merchandising e alberghi) con accesso nell’area ospitalità per brindare (a birra) nel third time. In pratica, una carta fedeltà simile alle membership dei football club di Premier inglese e Liga spagnola (cioè senza finalità di ordine pubblico e interposizione del Ministero). E per questo, lontanissima dalla nostrana tessera del tifoso di calcio. Che alla vigilia della sua quarta stagione, tra fase sperimentale, scandali scommesse e stadi svuotati, è ancora al centro di interrogativi, riforme e lacune legislative: come cambiarla, integrarla, perfezionarla? Senza però scalfirne (evidentemente) l’essenza impositiva di controllo sul pubblico?
Dopo la variante nel protocollo per la Tessera del Tifoso per il Tifoso (?), la Tessera del Tifoso è (dialetticamente) traghettata in Fidelity Card, come se bastasse cambiare l’ordine degli addendi (damblé) per mutarne il risultato. Le novità del calcio? Semplificazioni di procedure e voucher elettronico, con annessi scollegati collegamenti informatici (cioè, esempio, con lo stesso titolo entri a San Siro ma, forse, non al San Paolo). L’identikit del tifoso, 27 domande nel questionario “C’era una volta l’ultras”, per sondare status di famiglia, posizione economica e fascia di reddito del cliente/supporter (con relativo grado di conoscenza sulle promozioni Mediaset e Sky). E, dulcis in fundo, l’Albo nazionale degli striscioni, cioè il lasciapassare (settori ospiti) per sole scritte autorizzate: come la mettiamo con l’art. 21 della Costituzione, la libertà di pensiero (stadi per lo più luoghi pubblici, comunali) e una comunicazione preventiva dei testi in Questura, che sa tanto di vetero-censura? Cavilli, burocrazia, rimandi, tecnicismi, divieti. Altro che governance di sistema: il calcio (italiano) è lontano pure dalla cultura inclusiva e partecipativa del rugby (italiano), dove tutto è più naturale, vero e spontaneo. E dove persino i giocatori, lontani dall’abbaglio star system, senza temerlo cercano il contatto con avversari e tifosi, sia in campo, che dentro e fuori gli spalti. Perché “chi gioca in prima linea (dice il motto), si guadagna un posto in paradiso“.