Causa pilota di un cittadino che si era stabilito nel Parco Naturale del Ticino "invaso" dall'inquinamento dei residui di carburante. Il Ministero dell’Ambiente aveva fornito una valutazione sulla base di ispezioni del Corpo Forestale dello Stato in cui parlava chiaramente di “disastro ambientale”. Responsabile anche il ministero dei Trasporti
Una tegola da otto milioni di euro sulla Sea. Un’ingombrante pronuncia per il piano di espansione di Malpensa e una nuova ombra sulla vendita ai privati già contestatissima. La seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano ha condannato il gestore aeroportuale milanese, in solido con il Ministero dei Trasporti, per danno alla proprietà e ha perfino aumentato la liquidazione dell’indennità da 5 a quasi 8 milioni di euro. Le motivazioni della sentenza saranno depositate a giorni, ma la pronuncia dei giudici in secondo grado mette un carico pesante sulla Sea, sul suo passato e soprattutto sul futuro.
La vicenda risale al lontano 1999, quando il proprietario di un’area boschiva di 220 ettari sorvolata dagli aerei in decollo osserva i segni evidenti di un inquinamento devastante per le piante. Lì, in località “Tre Pini”, il signor Umberto Quintavalle aveva stabilito la sua residenza con la volontà di valorizzare la proprietà con un progetto compatibile con le funzioni del Parco Naturale del Ticino. Con le piante che muoiono, una dopo l’altra, è costretto invece ad accantonare per sempre il progetto. Ma lui non si dà per vinto perché, dopo una serie di accertamenti, appare credibile che la morìa di 100mila piante sia da collegare ai residui incombusti del carburante degli aerei in decollo da Malpensa. Così scatta una causa-pilota che, al tempo, sembrava temeraria: un cittadino solo contro i giganti della Sea e del Ministero e un’azione legale che apriva scenari nuovi sul fronte della compatibilità tra grandi infrastrutture del trasporto aereo e l’ambiente. Peggio, metteva in discussione le scelte degli amministratori lombardi che per anni hanno fatto di Malpensa una bandiera politica ed economica. A giudizio finisce l’origine stessa dell’aeroporto lombardo, realizzato nel 1998 all’interno del Parco del Ticino, una riserva naturale protetta da norme nazionali e comunitarie. In aula Sea tira dritto, nega la responsabilità e contesta ogni addebito. Seguono quattro anni di perizie, analisi e controanalisi. Nel 2008 la sentenza di primo grado del giudice La Monica stabilisce le ragioni del proprietario e il risarcimento in quattro milioni di euro. Sea impugna la sentenza e la guerra legale riparte da capo. Si arricchisce però di alcuni colpi di scena che sembrano rafforzare Davide e indebolire il gigante Golia. Il 7 ottobre 2010 è il Ministero dell’Ambiente a fornire una valutazione sulla base di ispezioni del Corpo Forestale dello Stato e a parlare chiaramente di “disastro ambientale”.
Anche i comuni cosiddetti “di sedime”, che sono interessati a decolli e atterraggi si mobilitano e commissionano studi epidemiologici sugli effetti dell’inquinamento acustico e da idrocarburi sulle persone. Lo fa, ad esempio, il Comune di Casorate che affida all’Asl di Varese un’analisi dei dati clinici di 12 anni (1997-2009). Il risultato è un aumento della mortalità per malattie respiratorie del 54,1% e un balzo nei ricoveri ospedalieri pari al 23,8%, contro medie per tutta la provincia del 14 e del 7,8%. Dati alla mano, il comune farà un esposto in Procura. L’Università Cattolica di Brescia si cimenta nell’analisi della qualità dell’aria. E ancora una volta mette in croce Malpensa. Si tratta di in un campionamento dei valori inquinanti con diverse postazioni nei comuni intorno all’aeroporto. I risultati sono stati presentati un anno fa e segnalano la criticità raggiunta da alcuni inquinanti cancerogeni come il benzopirene. Anche questi dati sono stati ignorati dagli enti preposti alla tutela dell’ambiente e della salute, mentre sul territorio si muovevano comitati ambientalisti sistematicamente inascoltati. Perfino l’Europa, e siamo a due anni fa, ha messo la vicenda nel suo puntatore e ha aperto un’istruttoria che potrebbe finire in procedura di infrazione per l’Italia. Con tanto di multa.
A mettere un punto fermo a 13 anni di contese arriva oggi la seconda condanna per la Sea. Non è la parola fine, c’è sempre la Cassazione. Ma l’avvocato Elisabetta Cicigoi, che ha difeso Quintavalle insieme ai colleghi Matteo Majocchi e Gianluca Gariboldi, sembra fiduciosa anche se attende di leggere la motivazione della sentenza. Spiega che è sicuramente una pronuncia importante: è l’epilogo di una battaglia che si è svolta in un aula di tribunale su basi giuridiche e con dati scientifici accertati da quattro anni di perizie; ma ribadisce anche l’inviolabilità di alcuni vincoli giuridici di rilievo pubblico fondamentali. Su tutti, l’obbligo per gli amministratori che intendono realizzare infrastrutture di questa portata e complessità a valutare correttamente le localizzazioni e a mettere in campo concreti strumenti di mitigazione e misure compensative. Cosa che, evidentemente, a Malpensa non è stata fatta a dovere.
E’ presto per dire se la decisione avrà effetti su altre proprietà o sulle azioni legali intraprese dai comuni che si considerano danneggiati. Magari su altre aree aeroportuali italiane dove da anni si tenta inutilmente di far sentire la voce dell’ambiente e della salute. Certo la condanna pesa sul tavolo della politica che sta andando nella direzione contraria di un ulteriore ampliamento di Malpensa, con polo logistico e terza pista, e di una cessione di proprietà e controllo verso i privati che la giunta di Giuliano Pisapia cerca a tutti i costi pur di salvare i conti del Comune.