La vicenda degli esodati è frutto di una serie di errori. Soprattutto c’è stata una gravissima assenza di notizie: né l’Inps, né il ministro hanno reso pubblici i dati sui lavoratori a vario titolo coinvolti in processi di ristrutturazione con pensionamento anticipato. Se lo avessero fatto per tempo, la riforma varata a novembre avrebbe potuto essere più flessibile sull’età di pensionamento e avrebbe potuto prevedere soluzioni che tenessero conto degli incentivi dei lavoratori ad andare in pensione come delle scelte dei datori di lavoro. La soluzione ancora possibile.
di Tito Boeri* e Agar Brugiavini** (lavoce.info)
La vicenda degli esodati è frutto di una serie di errori, il più grave dei quali non ci sembra sia stato sin qui messo in luce: la gestione privata di informazioni pubbliche da parte del presidente dell’Inps.
La battaglia del Presidente
Da tempo denunciamo su questo sito come Antonio Mastrapasqua utilizzi a fini di battaglia politica i dati amministrativi raccolti dal suo istituto nell’esercizio delle sue funzioni. Ne ha il monopolio assoluto e, come abbiamo documentato, anziché renderli pubblici, li fornisce in modo del tutto inadeguato e li interpreta prestando il fianco a un loro uso politico. Diventano, questi dati, quasi un’arma di ricatto nei confronti della classe politica.
La legge assegna all’Inps il compito di fornire statistiche sulla copertura delle sue prestazioni assicurative. Da dieci anni Mastrapasqua ha anche firmato una convenzione con le maggiori università italiane per l’accesso ai dati dell’istituto, cosa che permetterebbe di ridurre quegli errori nel monitoraggio dei flussi verso il pensionamento che hanno dato luogo al problema degli esodati e che permetterebbe una valutazione indipendente degli effetti delle riforme di questi anni. Mastrapasqua non rispetta la convenzione che lui stesso ha firmato.
Più che una fuga di notizie, c’è stata una gravissima e inspiegabile assenza di notizie: né l’Inps, né il ministro hanno reso pubblici i dati sui lavoratori a vario titolo coinvolti in processi di ristrutturazione che prevedevano un pensionamento anticipato. Se lo avessero fatto per tempo, i limiti della riforma varata a novembre sarebbero emersi in tutta la loro rilevanza, sollecitando soluzioni che tenessero conto non solo degli incentivi dei lavoratori ad andare in pensione, ma anche delle scelte dei datori di lavoro. Si sarebbe potuto pensare a una riforma più flessibile quanto all’età di pensionamento onde tendere conto delle pressioni che vengono dal lato della domanda di lavoro.
La soluzione c’è
Questa soluzione è tuttora possibile. Si basa su riduzioni attuariali delle pensioni per i lavoratori esodati o esodandi, pari circa al 2-3 per cento in meno per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. Al tempo stesso, bisognerebbe imporre ai datori di lavoro di continuare a versare per questi lavoratori i contributi sociali fino a quando questi maturano il diritto a una pensione piena. Chiaramente in questo quadro il datore di lavoro potrebbe anche optare per la reintegrazione dei lavoratori coinvolti e il lavoratore potrebbe cercare fonti di reddito alternative, tali da compensare la riduzione attuariale nella pensione, senza perdere il diritto a quest’ultima.
*Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Economia Bocconi, dove ha progettato e diretto il primo corso di laurea interamente in lingua inglese. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it.
**E’ professore di Economia Politica presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Ha conseguito una laurea in Scienze Statistiche alla Sapienza di Roma, un Master in Econometria e un Ph.D. in Economia alla London School of Economics. È stata docente alla City University Business School di Londra e visiting scholar presso la Northwestern University negli USA. Nella sua ricerca si occupa principalmente di scelte di risparmio delle famiglie, di pensioni e di stato sociale.