La ricerca clinica in Italia non gode di buona salute, si sa. Ma a certificarne ulteriormente la crisi è il 10° Rapporto Nazionale sulla Sperimentazione Clinica in Italia dell’Osservatorio nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei medicinali dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco). Da qui emerge infatti che le sperimentazioni cliniche sui farmaci dal 2008 al 2010 hanno subito una flessione negativa del 12,2% e che invece i Comitati etici continuano ad essere ancora troppi, e sopra la media europea. Il dato italico è infatti di un comitato ogni 250mila abitanti, contro il rapporto europeo di 1 a 500mila. 

Complessivamente il quadro che ne esce è quindi a luci e ombre. Tra i dati positivi che emergono c’è un aumento degli studi clinici di fase I (cioè la prima delle quattro fasi di una sperimentazione clinica), passati dai 19 (2,4%) del 2006 ai 53 (80%) del 2010, e di una maggiore attenzione per i farmaci orfani e malattie rare, passati dal 5,3% del 2006 al 10% del 2010 sul totale delle sperimentazioni per anno. E adesso i dati negativi. Le sperimentazioni cliniche fatte dal 2000 al 2010 sono state complessivamente 7.441, con un picco nel 2008 (878). Ma il trend di crescita osservato a partire dal 2000 (quando erano state 557) si è arrestato negli ultimi anni, e le sperimentazioni sono via via calate prima a 752 nel 2009, e poi 660 nel 2010. Anche se va detto che questo dato va in parallelo con quanto avvenuto in Europa, dove la flessione è stata generale. Nel 2010 le sperimentazioni fatte in Ue sono state 4.193 e quelle italiane rappresentano il 15,7% del totale. Il calo delle sperimentazioni è da spiegare, secondo il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’istituto Mario Negri di Milano, “in parte con la riduzione dei nuovi farmaci, e in parte per le difficoltà cui vanno incontro gli studi no profit, che si vedono aumentare i costi, perché devono pagarsi l’assicurazione”.

Ma uno dei nodi cruciali nel creare difficoltà alla ricerca in Italia sta nei comitati etici, cioè quegli organismi indipendenti che devono verificare l’applicabilità della sperimentazione e l’adeguatezza del protocollo. Il nostro Paese ce ne ha troppi, anche se si sta impegnando a sfoltirli. Si è infatti passati dai 269 del 2008 ai 245 del 2010. Ma la media è di 1 ogni 250mila abitanti, ancora troppo alta rispetto all’Europa. La regione che ce ne ha di più è la Lombardia con 61, seguita da Lazio (34), Sicilia (21) e Campania (19). Tutta l’attività inoltre è concentrata solo nel 66,1% dei Comitati. Tra il 2007 e 2010 infatti sono stati solo 162 quelli che hanno rilasciato almeno un parere unico in qualità di coordinatori. Tra questi, 19 hanno rilasciato in media una valutazione al mese (48 nel quadriennio). E anche se i tempi medi nazionali per il rilascio del parere unico sono scesi da 45 giorni nel 2007 a 21 nel 2010 (ma l’attesa può raggiungere anche picchi di 246 giorni), rimangono comunque lunghi e la tendenza per i tempi di accettazione/rifiuto è in crescita: la media è passata da 35 giorni di attesa nel 2007 a 40 giorni nel 2010, con punte di 365 giorni. “Il problema principale – continua Garattini – è che i comitati etici non rispettano i tempi. Ciò si aggiunge al fatto che oltre al loro parere, serve anche l’autorizzazione dell’autorità competente, cosa che aumenta notevolmente il ritardo. In Europa invece i tempi sono ben definiti, circa 60 giorni, e vengono rispettati”. Il fatto poi che vi sia stato questo proliferare di comitati etici ha prodotto un’altra distorsione: “viene a mancare quella terzietà e indipendenza che servirebbero per dare una valutazione oggettiva, perché sono istituiti dagli organismi stessi che ne usufruiscono, che nominano anche la quota di esperti esterni alla struttura”. Una mancanza di distacco che ovviamente ha anche una ricaduta sul piano scientifico. “Se guardiamo i risultati prodotti da questi studi – conclude il direttore dell’istituto Mario Negri di Milano – possiamo osservare che spesso contengono errori. Del resto è difficile pensare che in Italia vi sia un numero sufficiente di esperti in sperimentazioni cliniche per tutti i comitati etici presenti. I conti sono presto fatti: ognuno dei 245 comitati ha almeno 10 componenti, quindi si parla di quasi 2500 persone. Difficile pensare che siano tutte esperte di sperimentazioni…”.

 

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