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Voto in Grecia, vince il partito dell’euro e dell’austerity

Le urne licenziano una maggioranza assoluta composta da Nuova democrazia e dai socialisti. Battuta la sinistra radicale che dichiara di voler stare all'opposzione. I conservatori annunciano il varo di un esecutivo in tempi brevi

Impasse o biscotto? Le (seconde) elezioni in Grecia su cui tutto il mondo ha messo gli occhi potrebbero non avere un esito scontato. Primo partito i conservatori di Nea Dimokratia con circa il 30%, che al momento porta quattro punti percentuali di vantaggio rispetto alla coalizione delle sinistre radicali del Syriza, guidate dal giovane Alexis Tsipras. E che ha annunciato di essere intenzionato a formare in tempi rapidi un esecutivo. In base al premio di maggioranza infatti potrebbe farlo con il Pasok: avrebbe almeno 130 seggi in Parlamento, a cui ne mancherebbero solo venti per “sfondare” quota 150. Ovvero proprio i 33 dei socialisti, il cui leader Evangelos Venizelos ha però dichiarato che al momento tocca al Syriza “fare il governo” assieme a ND. Non solo: l’ex ministro dell’economia dell’esecutivo Papandreou ha aggiunto che il presidente della repubblica Karolos Papoulias dovrebbe convocare tutti i partiti presenti in parlamento e affidare un mandato comune. Un modo per tirarsi fuori dai giochi? Certamente una mossa pericolosa che potrebbe innervosire ulteriormente i mercati e ritardare la stabilità politica nel paese e nell’eurozona.

Alle loro spalle gli stessi quattro partiti che lo scorso 6 maggio hanno fatto il loro ingresso nella Voulì: gli Indipendenti di Kammenos al 7,6%, i nazionalisti di Alba dorata al 7%, la sinistra democratica (Dimar) di Kouvelis al 6,2% e i comunisti del Kke al 4,5%. Se fossero solo i numeri a dettare l’agenda politica greca i giochi sarebbero fatti. Con i due blocchi bipolari di conservatori e socialisti che avrebbero le carte in regola per comporre un esecutivo di larghe intese. Ma al momento nulla è certo nella canicola ateniese, in quanto lo stesso Venizelos non ha fornito aperture al collega Samaras. Quest’ultimo non è andato al di là della rivendicazione della vittoria (su cui qualche deputato del Syriza getta ombre di ipotetici brogli) che però paradossalmente potrebbe non segnare la fine del caos ellenico.

Un’ipotesi è quella dell’accordo: Nea Dimokratia riesce a trovare la sintesi con il Pasok su un nome terzo, anche una figura di spessore trasversale dal momento che il leader conservatore Samaras non è particolarmente amato e potrebbe individuare la luce in fondo al tunnel solo puntando su un altro cavallo. Soluzione che, comunque, avrebbe l’effetto immediato di sedare le ansie delle cancellerie continentali per dare seguito al memorandum della troika. Ma che lascerebbe senza risposta alcune questioni relative proprio all’impatto del piano di Bce, Fmi e Ue: con il paese in recessione per il sesto anno consecutivo, la disoccupazione record al 22%, i suicidi da crisi a quota 252. “Siamo il primo partito: è venuta l’ora di formare un governo di unione nazionale pro-euro per uscire dalla crisi”, ha detto Dora Bakoyannis, rientrata nell’ovile del centrodestra dopo la parentesi indipendentista. Inoltre Tsipras ha confermato la sua indisponibilità a governare assieme ai “firmatari” del memorandum: in quanto soluzione che aggrava la criticità ellenica. “Il futuro non cambia con metodi che non funzionano”, ha detto.

Prima però si era congratulato telefonicamente con il vincitore ricordandogli che “la Grecia ha urgentemente bisogno di un governo”. Il punto è proprio questo: e se si ripresentasse il medesimo scenario di un mese fa con quattro partiti incapaci di accordarsi? L’Europa questa volta avrebbe la forza di attendere?

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